Nel cinquantenario della nascita del movimento omosessuale italiano, perché all’inizio si chiamava così, un giornalista che non si definisce un attivista pubblica un libro di storie e non di Storia, intervistando persone LGBT che lo hanno affascinato e di cui lo affascinava la vita di militanza. Prospettive di parte, perché non è tutt’oro ciò che luccica.

 

C’è una frase in Nomadland, pellicola che vinto il premio Oscar 2021 come miglior film dell’anno, che mi viene da associare al libro di Simone Alliva pubblicato da Fandango Libri Fuori i nomi! Intervista con la storia italiana LGBT: ciò che viene ricordato vive.

Il 2021 è l’anno del cinquantenario della nascita del movimento arcobaleno nel nostro paese anzi di quello omosessuale, perché il mondo era “binario”: o si era eterosessuali o non lo si era. La parola gay poi iniziò a fare da ombrello unico, un po’ come si può usare al giorno d’oggi la parola queer nel senso di contenitore di ogni sessualità, identità ed espressione di genere.

L’autore celebra questo fondamentale anniversario con una raccolta d’interviste a uomini, donne e altre auto-identificazioni che per scelta, per caso, per ambizione, per cooptazione, per calcolo… hanno modificato in modo particolarmente rilevante lo zigzag della linea tracciata dalle nostre lotte per il riconoscimento dei nostri diritti a un’esistenza libera da pregiudizi e violenza in qualsiasi ambito dell’esistenza; alla nostra salute fisica e mentale; all’amore di coppia e di famiglia con o senza prole.

Persone che hanno contribuito a creare degli spartiacque tra un “prima” e un “dopo” della nostra storia, mettendoci la faccia, il corpo e la mente quando era davvero rischioso farlo, per creare un mondo dove letteralmente chiunque, ma soprattutto chi ritiene di appartenere alla popolazione LGBT, potesse vivere meglio di quanto non accadeva o era accaduto a loro.

Pionieri e pioniere chi adesso ha tra i 70 e gli 80 anni, “seconda generazione” chi ne ha tra i 60 e i 70, per cui io mi colloco nella “terza generazione” e molti di loro li ho conosciuti o incrociati nei miei più di venti anni di lotta politica e attività culturale arcobaleno. Per le nuove generazioni, invece, sono come nonni o nonne, zii e zie di cui si rischia di perdere la memoria o la traccia, anche se alcuni di loro sono diventati famosi anche tra il grande pubblico televisivo o iconici in quello nostro più ristretto.

A differenza delle comunità etniche, come afrodiscendenti statunitensi o persone di religione ebraica, che “di padre in figlio” e trasmettono una narrazione e codici culturali precisi, quella arcobaleno non ha una storia identitaria forte, perché nasciamo e cresciamo in famiglie eterosessuali che non conoscono le nostre storie, le nostre tradizioni o il nostro passato né si informano a priori.

A partire dal proprio coming out, che ci catapulta volenti o nolenti in un universo parallelo composto da svariate galassie, ognuno e ognuna di noi deve quindi valutare se è interessato a dipanare la matassa del sapere quanto e quando ci è già accaduto e magari cosa ci sta succedendo adesso, in Italia e/o in giro per il mondo.

A mio avviso averne un’idea può essere di grande aiuto nello scegliere quali direzioni è più consono prendere, quali pianeti si vogliono visitare o a quali sentiamo di appartenere maggiormente. Per farla più semplice, da grande voglio essere una lesbica butch o femme, un gay bear o palestrato, una persona trans operata o non med, un bisessuale semplice o poliamoroso ecc.?

La sfumature adesso sono tante e tali che alla bandiera rainbow creata da Gilbert Baker nel 1978, e che ci ha rappresentato per più di quattro decenni, nel 2018 sono stati aggiunti altri 5 colori per risultare più inclusiva. Da omosessuale a gay a GLBT a LGBT si è arrivati ad acronimi che possono anche diventare LGBTTQQIAAP2S (lesbian, gay, bisexual, transgender, transsexual, queer, questioning, intersex, asexual, ally, pansexual, two spirits).

Tornando al libro, Simone Alliva, classe 1988 e quindi nell’anno del World Pride di Roma del 2000 (io c’ero!) aveva 12 anni, è andato alla ricerca delle nostre autoctone radici con l’intenzione di favorire dei flussi di autocoscienza in chi ha incontrato. Da Angelo Pezzana a Franco Grilliini, da Graziella Bertozzo a Imma Battaglia, da Porpora Marcasciano a Giuseppina La Delfa per un totale di sedici forti personalità. Le sue domande sono sempre anticipate da un profilo soggettivo, perché come scrive nella prefazione “Starà poi a chi legge decidere se il ritratto corrisponde all’intervistato”.

Fuori i nomi! vale la pena di essere letto e i racconti che emergono sono molto piacevoli. Ho inoltre trovato particolarmente utile la lettura incrociata delle narrazioni, perché a volte si scopre cosa uno o una pensano di un altro o di un’altra. Più di un sasso è tirato fuori da una scarpa, e qualche verità nascosta emerge senza più remore. Ci sono molte posizioni diverse su determinati fatti, come per esempio l’opinione che si ha di Mario Mieli. Ci sono anche contrasti e tensioni non ancora sopiti, che probabilmente ci si porterà nella tomba. Ci sono molte sfaccettature e compito del lettore è ricostruire una visione d’insieme.

Il volume però per me ha un comprensibile, non necessariamente condivisibile, difetto: crea una mitopoiesi, una mitizzazione. Tutte le persone alla fine del proprio capitolo ne escono come santificate, con esistenze epurate da azioni e comportamenti non sempre trasparenti, che “nel giro e in giro” si sapevano.

Poiché si pensa che sia sempre meglio pulire i panni sporchi in casa, all’esterno del movimento o della comunità, molte notizie non arrivavano e non era nemmeno facile trovare prove concrete e inconfutabili per evitare una denuncia per diffamazione o peggio. Non ne era sua intenzione, ma Fuori i nomi! non parla del lato nascosto della nostra luna. 

Per dimostrare la mia tesi chiamo a supporto una serie di articoli pubblicati da Gay.it nel 2008 e tuttora disponibili in rete. “Inchiesta Arcigay/1: l’associazione Nazionale. Arcigay Nazionale: cos’è, chi la gestisce, di cosa si occupa, i circoli politici, i soldi che macina. Parte oggi un viaggio a puntate sulla più grande associazione per i diritti gay del nostro paese”. La seconda parte titola “Inchiesta Arcigay/2: I locali, le tessere, il sesso. Perché Arcigay ha una rete di realtà commerciali per lo più legate al sesso? Perché per entrare serve una tessera? Chi ci guadagna e quali sono i costi? Seconda puntata del viaggio dentro Arcigay.” Inchiesta Arcigay/3 “I conti non tornano. Buco nel bilancio e mistero sugli iscritti. Poca trasparenza e niente preservativi. Aspettando le cifre del 2008 che saranno approvate domenica abbiamo dato un’occhiata a quelle degli anni passati”. Inchiesta Arcigay/4 “Ecco quanto ci costa. Grazie all’inchiesta partita da Gay.it Arcigay ha deciso di pubblicare il bilancio appena approvato. Un quarto dei soldi, però, se ne va per le spese e i viaggi dei suoi dirigenti”.

Della gestione commerciale di Arcigay grazie alla rete dei locali d’incontro nel libro non si fa alcun cenno, ma sono ben tre gli ex presidenti nazionali intervistati da Alliva e reputo impossibile che non sapessero nulla. Per chi non ne fosse a conoscenza in Italia per entrare in un locale gay a divertirsi bisognava avere, e rinnovare ogni anno, la tessera del cosiddetto circuito UNO gestita da Arcigay (esisteva anche una tessera politica che io ancora ho). Questo creava sia un ingente fatturato sia la propaganda di essere la più importante associazione omosessuale per numero di iscritti (non mi ricordo bene se europea o persino mondiale), cosa oggettivamente vera ma la stragrande maggioranza dei “soci” voleva solo andare in sauna o a ballare.

Simone Alliva

Per Simone Alliva, che si definisce un cronista, non è importante quello che pensa il giornalista, ma quello che vede e che sente. Lui ha puntato un faro di luce sulla punta della piramide del movimento, le persone “in alto grado” definite autentiche leader, che però nelle loro memorie si dimenticano della base.

A sorreggere la struttura, infatti, ci furono e ci sono i volontari e le volontarie che con il loro tempo, energia, idee e soldi tenevano e tengono in piedi le associazioni. Accanto a loro le persone normali che formano la popolazione LGBT e che si vedono ogni tanto a qualche manifestazione o una volta all’anno ai cortei dei pride. Solo una parte di noi crea la comunità e il movimento politico arcobaleno è anche più piccolo.

Un altro mio personale punto interrogativo è che il nome di Arcilesbica appare di continuo, soprattutto come confronto tra la sua nascita da una separazione da Arcigay e le attuali prese di posizione che l’autore non condivide per niente. Alliva spiega il motivo per cui Cristina Gramolini, l’attuale presidente, non ha accettato l’intervista, mentre io posso fregiarmi che a Pridemagazine Cristina Gramolini l’intervista, molto interessante, l’ha rilasciata e la potete leggere qui. L’ho intitolata ironicamente “Arci odiate”.

La linea politica di Arcilesbica nel 2021 può essere considerata controcorrente o non al passo con gli odierni pensieri diffusi nella comunità o nel movimento LGBT, due concetti che molte persone intervistate negano che in Italia siano ancora validi (vi lascio però scoprire in autonomia i motivi che sono addotti al riguardo).

La nostra forza e resistenza agli attacchi esterni per me deve obbligatoriamente passare per il rispetto delle opinioni interne altrui e per il dialogo. Posizioni che sono legittime non si devono censurare, è essenziale cercare di capirle per costruire ponti e non per creare fossati. È un dato di fatto che molte delle nostre esperienze personali come singole lettere dell’acronimo si sovrappongono, ma non combaciano del tutto. Questa mia conclusione valeva per il nostro passato, vale al presente e varrà nel futuro, senza se e senza ma. La favolosità e la favola che si racconta, infine, sono due cose ben distinte rispetto ai fatti.