H.E.R., cantautrice e violinista, una delle prime artiste transgender in Italia, torna alla canzone con un brano dalle sonorità elettroniche trascinanti e un testo con un messaggio che grida al cambiamento nella testa, nelle abitudini e nel coraggio di essere se stessi, per raggiungere un mondo nuovo nel segno dell’inclusione.
Risale al 2005 il nostro ultimo incontro con H.E.R. Allora era da poco uscito il suo EP Se avessi te e noi fummo piacevolmente colpiti dall’idea di un’artista transgender che coniugasse la sua passione per la musica classica all’impegno “militante” contro l’omo-transfobia; fenomeno purtroppo ancora in auge a 20 anni dall’inizio di quel percorso che ha portato Erma Castriota all’emancipazione in una società ancora troppo “a compartimenti stagni”, come denuncia nel suo Il mondo non cambia mai.
A 19 anni dal suo secondo posto (come Ermanno) H.E.R. torna in gara al Festival della Canzone Popolare e d’Autore, cambiata nell’identità sessuale e nel suo personale percorso musicale. Diplomata in violino al Conservatorio di Benevento nonché in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Foggia, il suo percorso artistico è un continuo amalgamarsi tra teatro, cinema e musica, insomma un’artista a tutto tondo.
Ha suonato tra l’altro per Franco Battiato e Morrissey, a cui si aggiungono anche collaborazioni come quella con Teresa De Sio e ha donato alcuni suoi brani per altri artisti, tra cui l’indimenticabile Carla Boni (che ha interpretato Il mio nome) e la graffiante Rettore (Primadonna). In ambito teatrale ha collaborato con il regista Luciano Melchionna (nel cast del suo spettacolo Dignità Autonome di Prostituzione), che in questo momento di emergenza, assime ad altri amici e colleghi dell’artista, hanno preso parte al video realizzato in modalità home made e la cui regia è curata da Raffaele Fracchiolla.
La frase simbolo del brano (“Io con quelli come me, tu con quelli come te”) è la sintesi perfetta di come il mondo appare agli occhi dell’artista: separato dalle tante opinioni che ci precludono la condivisione e la comprensione del pensiero altrui. Un messaggio di inclusività condiviso e sostenuto anche dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli e che H.E.R., afferma a gran voce con la sua partecipazione al festival (giunto alla XXXI edizione) che, a causa dell’emergenza Covid-19, si svolgerà in una nuova modalità a favore di una competzione online, nella speranza di portare quanrto prima gli otto vincitori finalisti alla finale presso l’Arena Sferisterio di Macerata.
H.E.R. ha fatto dell’androginia la forza della sua essenza. La sua immagine ricercata e leggera, contrasta e al contempo si amalgama con il suo cantautorato e con un testo dai contenuti più severi. La canzone Il mondo non cambia mai, parla di razzismo nel senso più ampio del termine: “Ho voluto sottolineare tutta la difficoltà che le persone hanno ad accogliere nuove idee – spiega l’artista – della tendenza che si ha a fare gruppo, sempre con chi condivide lo stesso pensiero escludendo il nuovo, anche e soprattutto adesso che si ha paura del mondo esterno. Il mondo deve cambiare e questo può avvenire solo se cambiamo la nostra visuale in funzione di un diverso punto di vista”.
Pochi mesi fa, tramite eBay, sono riuscito a mettere le mani su un vecchio CD: la compilation del World Pride Roma 2000 in cui, come Ermanno Castriota, comparì come interprete di una delle versioni di Nessuno mi può giudicare. Sono passati 20 anni, 15 dal tuo primo EP Se avessi te, a nome H.E.R. Se dovessi sintetizzare questi 20 anni cosa prenderesti e cosa lasceresti di te?
Lascerei le angosce… quelle tipiche dell’adolescenza, le stesse che, però, mi hanno regalato quella sensibilità necessaria per scrivere musica, ergo è un 8 infinito. Va bene tutto così com’è stato!
Quando si è giovani spesso si è imprudenti, forse pazzi, spregiudicati. In genere con l’avanzare degli anni si diventa più cinici, senz’altro più disincantati rispetto alla realtà e alle persone che ci circondano. Dove ti poni ora?
Forse sono stata fortunata ma penso davvero di avere avuto due vite. Sentire la vita con un altro corpo mi ha dato una nuova linfa vitale, sicuramente! Gli artisti poi non hanno età (forse nemmeno il sesso). Le imprudenze, comunque, le follie sono tutte cose che ho recuperato da donna e sono ottimista anche riguardo le follie future! Ahhhh!
20 anni fa è nato un sodalizio con il DJ Gianni Parrini che perdura ancora e che ti porta ancora a esibirti in discoteche svizzere. Come riesci a coniugare la tua passione per la musica classsica, il tuo strumento prediletto, ossia il violino e la musica dance?
Con Gianni ci conoscemmo molti anni fa a un evento a Rimini e con lui ho collaborato diverse volte nel corso degli anni. La mia passione per l’elettronica è stata sempre attiva grazie anche ad amici producer che mi hanno sempre sostenuta, in primis Giovanni La Tosa e poi Eugene, Marcello Parrilli e Francesco Seria, con i quali ho prodotto nel 2018 Violins And Wires per la Flipper Music.
A proposito, quell’album era diametralmente distante da un brano come Il mondo non cambia mai. Costituiscono due facce di una stessa medaglia o rappresentano entrambi una – seppur differente – “urgenza” e se sì, quale?
Sono due mondi diversi solo perché uno è stato concepito perlopiù per la dancefloor (Of All Things, Never Like Anyone Else) o per l’ascolto raffinato (Sunspanded, Cold Ophelia), mentre Il mondo non cambia mai ha un messaggio e un testo preciso e la gente risponde molto positivamente anche perché evidentemente si sente rappresentata da ciò che dico.
Forse entrambi i progetti esprimono la mia energia ritmica e tribale che istintivamente mi porto dietro: è quella della rabbia, della sensualità, dell’erotismo ma anche del gioco, dai!
In H.E.R. c’è una componente “razionale” e una “impulsiva” come in molti artisti?
Beh, siamo un po’ tutti dei borderline senza dubbio! La contraddizione è una cifra necessaria per poter vivere pienamente la creatività altrimenti non ha scampo… Sì, sarà pure vero che il settore artistico è quello più sofferente in questo periodo di crisi, ma è davvero un privilegio poter urlare decorosamente sul palco (o a casa in questo periodo) la tua essenza ed essere pure applaudita!
Nel brano Il mondo non cambia mai denunci come siamo ancora ben lontani dall’accettare le differenze, da sperimentare l’integrazione: tendiamo spesso a isolarci in gruppi “confortevoli”, in cui ci sentiamo protetti, ma fuori da questi gruppi è ancora “giungla”. Cosa è cambiato in tal senso, se è cambiato, da 20 anni a questa parte?
Purtroppo da un po’ di anni a questa parte l’illusione di un’emancipazione in tal senso ha dato spazio alle paure e al pensiero unico che io combatto energicamente. Penso però che un brano pop come questo possa trasmettere ad ampio spettro un messaggio di incoraggiamento e di riscatto. Infatti, molte persone stanno raccontando le loro storie personali sulla mia pagina Facebook e sono orgogliosa di aver per giunta, l’appoggio di molta gente dello spettacolo che recitano il mio slogan: “Io con quelli come me, tu con quelli come te, loro con quelli come voi e il mondo non cambia mai!”
Nei paesi occidentali in cui il culto dell’inclusione per le differenze è parte integrante della cultura locale da ormai un ventennio se non un trentennio, pensiamo ai paesi nordici europei, ma per certi versi anche agli Stati Uniti, si è ormai usciti dal “ghetto”. Per esempio in queste realtà i locali LGBT sono sempre meno, poiché chi vive in pienezza il proprio sé non ha (più) necessità di rifugiarsi in “ambienti protetti”. In Italia invece pare che siamo passati dalle lotte per la libertà sessuale direttamente a una falsa accettazione e sdoganamento delle differenze di genere, saltando a piè pari tutto un periodo fatto di coscienza militante LGBT, tanto che oggi ancora ne paghiamo le conseguenze, sia in termini di omo/transfobia, sia di malcelato disinteresse da parte di un mainstrem che vede le persone LGBT già saldamente integrate all’interno di una società multiculturale e progressista. Il tuo video e la tua canzone però sembrerebbero dire l’opposto…
Sì, siamo molto lontani dal Parco Lambro del ’76 (la Festa del Proletariato Giovanile organizzata da Re Nudo e dai suoi circoli, dal Partito Radicale, da Lotta Continua e da altri raggruppamenti minori, dove un intervento di omosessuali fu interrotto bruscamente da un gruppetto di oppositori, N.d.R.), quando gli omosessuali rivendicavano il loro “non essere malati”, o da quando le prime transessuali rivendicavano il loro diritto di essere donne mediante la tanto rivoluzionaria (all’epoca) legge 164 dell’82… Tutto questo con anni e anni di lotta e scontri, ma la gente dimentica. Dovremmo studiare un po’ di storia tutti quanti! Sono ben lontani “gli anni amari”.
Direi però che in generale il mondo intero si è “de-politicizzato”, portando anche i locali gay friendly forse a un graduale spirito poco aggregativo e preferendo l’intrattenimento fine a se stesso: meno cineforum, meno impegno militante… Secondo me la globalizzazione in generale tende al depensamento e il pensiero spigoloso che deriva da un gran lavoro su se stessi risulta una roba scomoda!
Forse l’Italia non è ancora così profondamente metrosexual anche nell’ambito dell’intrattenimento rispetto al modello nordeuropeo: si ha ancora il bisogno di avere locali tipicamente gay, ma è anche vero che per gli eterosessuali è un vero e proprio “luna park”.
La tanta agognata accettazione a mio parere però è stata filtrata da concetti come bellezza, stile, glamour ecc., tutte cose ampiamente condivise da tutti (etero e no), ma non per questo assimilate realmente nel profondo. Per questo ci vuole più approfondimento e autocoscienza da parte del mondo LGBT.
Il mio brano parla di come può essere realmente crudele il mondo nei confronti di una “vita estrema” che non trova accoglienza nella collettività, concetto ben espresso nel videoclip che ho girato divertendomi con gli amici, in cui metaforicamente la vasca da bagno è un’astronave (per viaggiare verso un mondo migliore?, N.d.A.).
Se dovessi pensare a un autore italiano e a uno straniero, con cui non tanto musicalmente, quanto ideologicamente ti sentissi in sintonia, a quale ti riferiresti?
Tra gli autori italiani, Alda Merini senza ombra di dubbio! La sua scrittura è vera, senza troppi orpelli, scolpita dalla sua vita difficile, una vita divenuta arte, anzi “stigma divenuto arte”!!! La sua scrittura non poteva lasciarmi indifferente!
Se penso a un personaggio straniero… Molti anni fa vidi un film meraviglioso Lulu On The Bridge dello scrittore e regista Paul Auster. Da allora mi sono un po’ interessata ai suoi libri e, scoprendo poi una sua frase, l’ho fatta mia per sempre e recita così: “nessuno può dire da dove arrivi un libro, e men ché meno può dirlo il suo autore”. È una frase maledettamente vera, perché le cose meravigliose arrivano da lontano e non hanno un genitore… Gli artisti sono solo dei recettori che avvertono le energie impercettibili all’occhio comune e le ritrasmettono attraverso le loro opere.