Paola Dall’Orto è la fondatrice e la prima Presidente di A.Ge.d.O., una donna che non ha solo aiutato i genitori di omosessuali ma anche molte persone LGBT. Ha inoltre promosso una fortissima sensibilizzazione all’interno delle scuole secondarie, e nel 2015 è stata insignita dal Presidente Mattarella dell’onorificenza di “Cavaliere al Merito della Repubblica”. L’intervista di suo figlio Giovanni Dall’Orto.
foto Giovanni Dall’Orto
Il tempo vola, e sono passati già venticinque anni da quando mia madre Paola Dall’Orto decise di continuare a incontrare le altre madri di gay conosciute per scrivere assieme a me Figli diversi, un manuale sul coming out di giovani lesbiche e gay e le loro famiglie (ristampato più volte con diversi aggiornamenti N.d.R.).
Si trattò all’inizio d’una cosa molto “casalinga” (le riunioni si svolgevano a casa di mia nonna), e con una scarsa presenza almeno iniziale dei padri, ma l’obiettivo fu sin dall’inizio riuscire a creare anche in Italia un’associazione di genitori come quelle già esistenti all’estero.
Da quelle prime riunioni nacque AGEDO, “Associazione genitori e amici di omosessuali”, che ora sta per celebrare appunto il venticinquennale della fondazione. Una buona occasione per rievocare con lei quell’esperienza.
Allora mamma, qual è il tuo bilancio, guardando indietro a tutti questi anni?
Sono ovviamente orgogliosa di aver contribuito a un cambiamento necessario della società. Diciamo che l’esperienza che ho fatto come madre di un figlio gay mi ha permesso di crescere, in un ambiente che precedentemente era ottuso e in cui vivevo a occhi chiusi. Prima vivevo nell’ignoranza di alcune realtà, che mi apparivano nascoste, oppure addirittura emarginate e deprecate dalla società.
Sono stata spinta a mettermi in discussione e ad aiutare, attraverso l’esperienza del superamento del mio malessere, altre famiglie, spesso addirittura ignare di ospitare una persona omosessuale, in modo che potessero migliorare la relazione con i propri figli, anzi addirittura facendo in modo che alcuni altri genitori contribuissero a questa rivoluzione sociale.
Cosa sei riuscita a realizzare dei tuoi progetti?
Penso di avere ottenuto molto di quello che ci eravamo ripromessi in quegli anni. Diciamo che molto importante per me è stato il progetto di portare informazione attraverso l’educazione nelle scuole (un lavoro che tuttora in AGEDO continua) e attraverso convegni, la produzione opuscoli informativi o di video per la scuola e per i genitori.
Questo è stato possibile anche grazie al lavoro con EuroFlag, associazione di associazioni europee di genitori di figli omosessuali, dove con la collaborazione di Francia, Spagna, Belgio e Regno Unito, grazie a un progetto europeo abbiamo potuto produrre anche un filmato per la famiglia, Due volte genitori, con la regia di Claudio Cipelletti. Claudio fu autore anche del precedente video rivolto invece alla scuola, Nessuno uguale, finanziato dalla regione Lombardia.
Sono stati importanti anche i corsi di formazione per i genitori, per gli insegnanti e per il personale medico, come infermieri, medici, psicologi.
Cosa resta secondo te ancora da fare?
Purtroppo anche se la società si è aperta rispetto al passato (quando la parola “omosessualità” non si poteva neanche pronunciare) abbiamo ancora molto cammino da fare, a causa dell’emergere di momenti regressivi, come quello delle varie teorie “no gender”.
Il nostro è un percorso che non va mai abbandonato: occorre fare sempre attenzione a tutto, in modo che anche gli ultimi arrivati abbiano una mente aperta e un atteggiamento di accoglienza.
Secondo te i ragazzi oggi vivono meglio che 25 anni fa?
Questo sicuramente sì, come dimostra il fatto che mentre all’inizio con l’AGEDO era molto difficile trovare un genitore che si prendesse in carico altre famiglie, o che apparisse in pubblico, ora invece AGEDO si è molto ampliata e sono nati vari gruppi in tutta Italia, a cui i ragazzi e le famiglie possono rivolgersi. Questo dimostra che oggi esiste maggiore disponibilità al dibattito e all’ascolto, rispetto a 25 anni fa. È maturata la società e anche la famiglia italiana.
Chi ti ha aiutato di più nel tuo lavoro?
Ho avuto molti aiuti, che vanno dalle ragazze e dai ragazzi stessi, fino ai ministeri, ai quali ho voluto accedere proprio perché l’informazione non restasse chiusa in un piccolo ambito.
All’inizio era difficile un po’ tutto, perché eravamo pochissime. Ma una parte di questa difficoltà è stata superata con l’aiuto di persone e di politici come la senatrice Albertina Soliani, che fino alla fine mi ha appoggiato nel rapporto con i vari ministeri (Pubblica istruzione, Pari opportunità), aiutandomi per esempio a entrare nella scuola, anche attraverso vari Protocolli d’intesa, che mi hanno messa al riparo dalle fortissime resistenze che incontravamo. Spesso il rifiuto era giustificato con l’argomento che “nella mia scuola non ci sono omosessuali”. Addirittura una volta me lo disse uno psicologo! Invece, con un Protocollo col Ministero alle spalle, ci era possibile entrare anche in queste realtà più difficili.
Ovviamente ci è stato indispensabile l’aiuto che ci è venuto da persone come Franco Grillini, che come presidente di Arcigay ha reso possibile la nascita giuridica dell’associazione finanziando i costi notarili, e poi ospitandoci al Cassero eccetera.
Ho poi sempre avuto vicino molti ragazzi gay che si sono fatti in quattro per aiutarci, come Marco Coppola, Carlo Molinari e Giambattista Ventrella, Marco Albertini, e molti altri che non posso nominare tutti perché sono troppi, ma senza i quali non saremmo riuscite a fare il nostro lavoro.
Per niente scontato, infine, è stato l’appoggio di personaggi della cultura e dello spettacolo, che hanno accettato di partecipare gratuitamente come testimonial ai piccoli eventi che facevamo per raccogliere i soldi per pagare le spese di gestione, per esempio Leo Gullotta, Diego Dalla Palma, Lella Costa, Daria Bignardi. E un importante antiquario di Milano ci ha più e più volte ospitati gratuitamente nella sua meravigliosa villa, per i nostri incontri nazionali. Ognuno di loro ha dato il suo contributo.
Qual è stato l’aspetto più positivo di questa esperienza, per te?
Il rapporto umano. Ho potuto conoscere persone preziose, che tuttora posso frequentare per un rapporto di amicizia e rispetto, al punto che mi è stato persino chiesto di celebrare due unioni civili, qui sul Lago Maggiore.
In questo rapporto positivo anche mio marito, fino a che c’è stato, ha contribuito a creare un ambiente sereno e amichevole.
Ci sono state persone che ti hanno commossa?
Molti ragazzi, con le loro storie e le loro sofferenze.
Mentre al contrario mi ha disturbato che ci fossero anche genitori che mi chiedevano il colloquio solo per avere da me motivazioni per continuare a perseverare nel loro atteggiamento contrario, senza considerare le ottime attitudini delle figlie e dei figli.
Noi abbiamo sempre avuto problemi con la Chiesa. Mi hanno colpito proprio i casi di ragazzi che avevano problemi con la Chiesa, uno di questi in particolare perché non ho potuto aiutarlo: un ragazzo sardo, che poi si è ucciso.
Mi ha colpito questo bisogno dei ragazzi (più che delle ragazze, ai miei tempi) di avere un appoggio, un sostegno nel comunicare con la famiglia. Purtroppo non sempre la risposta era positiva.
Però devo anche aggiungere che da un certo punto in poi io sono stata presa completamente con l’attività organizzativa nazionale, rispetto ai primi tempi, in cui avevo più rapporti diretti con altri genitori e ragazzi. Quando ho iniziato a essere impegnata nell’attività di costruire l’associazione, invece, sono state le realtà locali e rispondere al bisogno di colloqui diretti e individuali.
Cosa dici dei 25 anni di Agedo?
Che lo vedo in retrospettiva come un’esperienza molto importante e molto bella, anche per i contatti che mi ha permesso di avere a livello nazionale e anche internazionale. E che mi ha tenuta impegnatissima dal 1994 al 2007!