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2.1. Dove sono le madri lesbiche?
All’interno dei circa 1000 articoli pubblicati dal Corriere della Sera sull’omosessualità dal 1998 al 2005, il 13% di questi aveva come tema l’omogenitorialità, ma assai pochi vertevano sulle concrete esperienze di genitorialità (Trappolin, 2009). Le madri lesbiche erano menzionate in 22 dei 131 articoli, mentre l’etichetta maggiormente impiegata nel trattare di genitorialità dello stesso sesso era “coppie omosessuali”.
Espressioni neutre rispetto al genere come coppie o famiglie (e quant’altro) “dello stesso sesso/omosessuali” vengono chiaramente interpretate dai lettori come riferite a uomini, appartenenti al sesso che detiene il dominio sociale e simbolico. Solamente nel 15% di questi articoli la tematica principale era incentrata sull’esperienza dell’essere genitori. Negli articoli connotati a livello di genere, la paternità gay veniva tematizzata in relazione alle aspettative riguardanti l’adozione.
Il dibattito sulla “genitorialità dello stesso sesso” condotto dalla prospettiva lesbica si avvaleva di argomenti ben più concreti: già nel 1988 un’attivista scrisse su Babilonia – all’epoca l’unica rivista (mensile) gay – della nascita di un bambino a seguito dell’inseminazione artificiale richiesta a una clinica di una donna in una coppia lesbica (Faustini, 1988).
La stampa nazionale riportò la notizia e intellettuali e politici si sentirono costretti a prendere posizione nei confronti di questa nuova realtà: donne che hanno figli senza uomini per propria decisione, Il quadro di riferimento divenne così la riproduzione assistita piuttosto che i cambiamenti legislativi.
Il leitmotiv consistette in variazioni sul tema “gli uomini non sono fuchi” (vedi Danna, 1998, in particolare il saggio finale La madre è la moglie del padre?) ma senza conseguenze pratiche o legali. Nel 1994 un altro caso di una lesbica in una coppia di Savona che fu inseminata da un ginecologo balzò agli onori delle cronache (il caso precedente era già stato dimenticato) e prese piede un nuovo oltraggioso e oltraggiato dibattito.
Questa volta finì con l’Ordine dei Medici che stabilì nel 1995 regole interne che misero fine all’inseminazione di donne che non fossero in un matrimonio eterosessuale. Tali disposizioni furono efficaci, perché il reo sarebbe stato radiato dall’Ordine e impossibilitato a svolgere la professione medica per due anni. Le coppie lesbiche, così come donne single che volessero diventare madri al di fuori di una qualsiasi relazione, cominciarono a recarsi all’estero per essere inseminate. Il divieto fu inscritto poi nella legge dal titolo “Norme sulla procreazione medicalmente assistita” (l. 40/2004), nella quale si richiedeva solo che le coppie eterosessuali avessero alle spalle una convivenza almeno biennale (una straordinaria apertura al concepimento extramatrimoniale in un paese cattolico!).
Arcigay Arcilesbica rispose con una campagna per la diffusione di un “kit per l’auto-inseminazione”. Malgrado le informazioni diffuse in materia di auto-inseminazione, molte più lesbiche decidono, ieri come oggi, di rivolgersi a cliniche estere (Spagna, Danimarca, Belgio, Paesi Bassi, Stati Uniti), piuttosto che avere a che fare con un donatore che avrebbe potuto in ogni momento, se lo avesse deciso, diventare padre chiedendo l’affido condiviso del bambino (nonostante ciò possa essere negato e possano essere predisposte misure per preservare l’anonimato delle parti anche nell’autoinseminazione).
La richiesta di accesso delle lesbiche (in quanto donne singole) alle tecniche di inseminazione assistita è stata una delle ragioni per le quali venne richiesto un referendum abrogativo della legge 40/2004, tuttavia il quesito specifico non venne ammesso dalla Corte Costituzionale. Il referendum non raggiunse il numero minino richiesto di votanti, ma negli anni seguenti la legge venne fatta a pezzi da dichiarazioni di incostituzionalità, e rimase in piedi solo il divieto di maternità surrogata, coerente con l’ordine pubblico italiano.[1] Tuttavia, anche prima di questo divieto, nessuna donna avrebbe potuto rinunciare alla propria maternità legale per soldi, dal momento che questo contratto era ed è nullo.
Nel 2005 una parte delle madri lesbiche appartenenti alla mailing list LLI-mamme, fondata cinque anni prima, costituirono un’associazione nazionale assieme ad alcuni uomini gay: Famiglie Arcobaleno ottenne una ben maggiore visibilità all’interno della società e sui media. Tuttavia l’esclusiva attenzione nei confronti delle madri lesbiche non durò a lungo: solo tre anni più tardi la giornalista Monica Ricci Sargentini (2008) pubblicò sul Corriere della Sera un’intervista con una coppia gay anonima che aveva avuto un figlio da una madre surrogata californiana.[2]
Nessuno scandalo suscitò questa notizia di una famiglia basata sull’esclusione della madre (come chiamiamo la donna che ha dato alla luce un figlio, a prescindere da come lei si definisca)[3]. Purtroppo viviamo in una società patriarcale, niente affatto basata sull’eguaglianza tra i sessi e pertanto connotata da un doppio standard – anche se è vero che poco dopo l’approvazione delle unioni civili al Senato, il deputato Nichi Vendola fu verbalmente attaccato per essere diventato padre attraverso la maternità surrogata in California (29.2.2016).
Quando la questione della genitorialità gay divenne preminente nella battaglia parlamentare per introdurre le unioni civili tra il 2015 e il 2016, il movimento LGBT ha fortemente rivendicato una presunta uguaglianza nella procreazione, che è l’unico ambito in cui le differenze tra uomini e donne devono essere giuridicamente rilevanti.
- Il percorso istituzionale verso le unioni civili
La prima proposta di legge per istituire le unioni civili è stata presentata nel 1993, durante la XI Legislatura, da parte di Graziano Cioni (PDS), Marco Taradash (PR), Nichi Vendola (PRC) e altri. A questa ne fecero seguito molte altre con varie denominazioni: PACS, “unioni affettive”, DiDoRe, ma il dibattito maggiore si svolse nel 2007 sui Di.Co. (disciplina delle coppe conviventi), anche a seguito della recente introduzione del matrimonio per le coppie dello stesso in Spagna, avvenuta nel 2005.
L’approvazione dei Di.Co. è stata fermata dal Family Day, una manifestazione promossa dalla Chiesa. Lo stesso anno, il Parlamento Europeo approvò una risoluzione sull’omofobia in Europa, per mezzo della quale: “Si ribadisce l’invito rivolto a tutti gli Stati Membri a promuovere legislazioni per superare la discriminazione vissuta dalle coppie dello stesso sesso”.
La coalizione di centro-sinistra, che contava persino alcuni attivisti LGBT tra i suoi soci eletti in parlamento (Franco Grillini, Titti de Simone, Vladimir Luxuria e Sergio Lo Giudice), non riuscì mai ad adempiere alle promesse di riconoscimento legale delle coppie gay e lesbiche, divisa tra la sua ala cattolica e quella laica (Ozzano, 2015). [4]
La questione riprese slancio con le sentenze emesse dalle corti di giustizia, come parte di una campagna giudiziaria chiamata “Affermazione civile” (Anaya, 2014). Nel luglio 2008 Enrico Oliari, fondatore dell’associazione di destra GayLib, e il suo partner richiesero di contrarre matrimonio a Trento, atto che fu negato, dato che il codice civile menziona chiaramente la differenza di sesso tra gli sposi.
La Corte Costituzionale italiana si rifiutò di trattare il caso (138/2010) ma prescrisse che il riconoscimento dello coppie dello stesso sesso dovesse avvenire attraverso un’altra istituzione giuridica (differente dal matrimonio) come diritto fondamentale delle “formazioni sociali ove si svolge la sua [dell’essere umano] personalità”, tutelato dall’art. 2 della Costituzione italiana.
La Corte di Cassazione (4184/2012) ha sottolineato come, in accordo all’art. 12 della CEDU, a livello europeo e di conseguenza italiano la differenza di sesso non sia più considerata come requisito essenziale per il matrimonio. Un ulteriore colpo alla struttura tradizionale del matrimonio è stato inferto dall’equiparazione tra figli nati all’interno e fuori dal matrimonio (l. 219/2012).
Una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (Vallianatos contro Grecia 210/2013) condannava la Grecia per aver riservato le unioni di fatto ai soli eterosessuali, dal momento che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo proibisce la discriminazione in base all’orientamento sessuale (art. 21), oltre a garantire il diritto di sposarsi e costituire una famiglia in accordo con le leggi nazionali (art. 9).
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso nel luglio 2015 un’ulteriore sentenza a seguito di due ricorsi (18766/11 e 6030/11) di sei cittadini italiani (tra cui Oliari) contro l’Italia per il mancato riconoscimento delle loro coppie. La Corte ha sollecitato l’Italia a cambiare il diritto di famiglia per includere le coppie dello stesso sesso.
La legge Cirinnà (l. 76/2016), che introdusse le unioni civili, è stata approvata ponendo voti di fiducia in ciascuna Camera. Essa ha soddisfatto solo parzialmente le richieste del movimento LGBT italiano, che voleva il matrimonio o, perlomeno, l’inclusione della stepchild adoption nelle unioni civili [5].
Tuttavia il Parlamento ha osservato la richiesta della Corte Costituzionale di introdurre un’istituzione differente dal matrimonio: le unioni civili si basano sull’assistenza morale e materiale e sulla coabitazione nonché sulla protezione della parte più debole della relazione una volta finita. Non vi è alcuna menzione della sessualità, anzi l’obbligo di fedeltà tipico del matrimonio è stato rimosso.
La fedeltà nel matrimonio è comunemente interpretata dalla giurisprudenza nell’accezione di fiducia reciproca, non solo di reciproco impegno fisico e spirituale. Pertanto i commentatori sostengono che, nonostante che la legge non menzioni questo dovere tra le caratteristiche dell’unione civile: “È difficile pensare a un rapporto a due, unico perché le parti non possono essere contemporaneamente legate da altra unione o matrimonio, nel quale ciascuna di esse sia fortemente impegnata sul piano personale attraverso assistenza, quotidianità e vita economica comune, nel quale non debbano necessariamente sussistere lealtà reciproca e prioritaria considerazione del partner. Se pertanto l’obbligo di fedeltà, sotto tale profilo, seppur non enunciato, continua a esistere per le unioni civili, la cancellazione operata tramite il maxiemendamento deve ritenersi esplicare i suoi effetti sul concetto ‘ristretto’ di fedeltà, vale a dire sull’idea tradizionale di essa, legata alla sfera sentimentale e sessuale” (de Filippis, 2016, 111).
La legge 76/2016, accanto alle unioni civili riservate alle coppie dello stesso sesso ha introdotto un’altra istituzione giuridica: la convivenza di fatto, questa volta in una prospettiva di uguaglianza. Al riconoscimento pubblico di una convivenza segue l’iscrizione all’anagrafe dei suoi membri in qualità di nucleo familiare. Le coppie conviventi, sia eterosessuali che omosessuali, possono regolamentare gli aspetti finanziari della loro unione di fatto tramite un contratto che sarà registrato presso l’anagrafe, mentre le norme sui figli in comune sono rimaste invariate dal 2012.
Nel primo anno di esistenza solo circa 2.800 coppie hanno formato un’unione civile. È possibile che i diritti conferiti alle coppie conviventi incontrino maggiormente il favore di coppie gay e lesbiche che vivono assieme.
Il riconoscimento legale e la regolamentazione delle coppie si sta chiaramente muovendo nella direzione di una maggiore autonomia privata: tale spostamento implicherà lo smantellamento degli status giuridici che costituiscono la famiglia, per sostituirli con contratti?
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[1] “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.
[2] È emblematico il fatto che quando la giornalista qualche anno dopo si recò in California per scrivere ancora della bellezza della maternità surrogata, divenne una sostenitrice della sua abolizione (Ricci Sargentini, 2015).
[3] Un padre biologico che contribuisce solo tramite il suo sperma, senza una relazione con la madre, non è mai “escluso” da coppie lesbiche o da madri singole, perché totalmente assente durante lo sviluppo del bambino e del neonato.
[4] Per un resoconto del movimento LGBT sotto Berlusconi si veda Ross (2009).
[5] “Appello ai partiti e ai senatori: irricevibile una legge senza stepchild adoption”, 15.1.2016, firmato da Agedo, Anddos, Arc, ARCI, ArciGay, ArciLesbica, Associazione radicale Certi Diritti, Azione Gay e Lesbica, CCO Mario Mieli, Circolo Tondelli, CondividiLove, Coordinamento Torino Pride, Edge, Equality Italia, Famiglie Arcobaleno, Gay Center, Gaynet Italia, I Mondi Diversi, Ireos, La Fenice Gay, Luiss Arcobaleno, MIT, Nuovi Diritti Cgil Nazionale, Polis Aperta, Rete Genitori Rainbow, UAAR.