La destra ultraconservatrice e razzista, a corto di mostrida additare per disseminare paura e raccogliere consenso, ha trovato un nuovo nemico: le persone transgender.

foto di Pranjall Kumar per Unsplash

 

Colpisce la notizia girata all’inizio del nuovo anno che Tim Cook, amministratore delegato di Apple, gay dichiarato e da sempre sostenitore di politiche aziendali inclusive e rispettose dei diritti delle minoranze, abbia donato di tasca propria un milione di dollari per la festa di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump.

La testata americana specializzata in spettacolo e costume Variety ha presentato la notizia scrivendo che si tratterebbe dell’ennesimo tentativo di un mogul di «Big Tech per ingraziarsi il presidente in arrivo».

Quello che ha generato stupore e malcontento in molte associazioni di categoria è che Cook, maschio omosessuale, abbia deciso di finanziare – per mero interesse aziendale – il debutto presidenziale di un uomo che ha già dichiarato di voler mettere fine alla “transgender lunacy” (tradotto, la “follia transgender”), perché convinto che “esistono solo due generi”. (Qui il video e di seguito la traduzione integrale del suo intervento, N.d.A.).

Con un solo tratto della mia penna il primo giorno metteremo fine alla follia transgender e firmerò ordini esecutivi per vietare le mutilazioni sessuali nei bambini, per buttare fuori le persone transgender dalle forze armate e fuori dalle nostre scuole elementari, medie e superiori. Terremo gli uomini fuori dagli sport femminili. E questo lo faremo probabilmente il primo giorno. Devo farlo il primo, il secondo o il terzo giorno? Che ne dite del primo giorno? Sotto l’amministrazione Trump sarà la politica ufficiale del Governo degli Stati Uniti che ci sono solo due generi: maschile e femminile.

Difficile credere che l’amministratore delegato di Apple non sia cosciente di questo orientamento razzista e transfobico di Trump, ma a Tim “ingraziarsi il presidente” dev’essere sembrato il male minore rispetto a eventuali ostilità verso la propria azienda da parte della prossima amministrazione americana.

Che il concetto di comunità LGBTQIA+ potesse risultare all’orecchio di qualcuno quanto meno artificiale non è una novità: da sempre sappiamo che ogni lettera di questo acronimo ha necessità specifiche e particolari, che non sempre collimano con quelle delle altre lettere.

Ma sino a oggi si era provato a muoversi compatti, come un “insieme di comunità”, rappresentative di orientamenti, identità, condizioni, autoidentificazioni, dialoganti e solidali le une con le altre nel tentativo di modificare ed emancipare gli assetti della società civile affinché divenisse più inclusiva e rispettosa nei confronti della diversità.

Mai come oggi questo fronte comune mostra tutta la sua fragilità e a pagarne i costi maggiori è proprio la lettera “T”, quella delle persone transgender.

Trump non è che il megafono più assordante e sgradevole di una serie di personaggi pubblici che negli ultimi mesi si sono molto spesi nel propalare una narrazione anti-trans: brillano su tutti il miliardario Elon Musk (che peraltro ha una figlia transgender), la scrittrice J. K. Rowling, l’ex tennista Martina Navratilova.

Nel nostro paese, in occasione della vicenda della pugile algerina Imane Khelif alle ultime olimpiadi di Parigi, ha fatto capolino la pelosa e neppure troppo subliminale transfobia della premier Giorgia Meloni e del presidente del Senato Ignazio La Russa (anche il “comunista” Marco Rizzo non è passato inosservato).

Questa narrazione transfobica e transescludente spesso poggia su opinioni discutibili, ancorate a nostalgie di stampo conservatore – se non reazionario – di fantomatiche “tradizioni” e “realtà naturali” che la scienza moderna ha dimostrato essere meri prodotti storici e culturali, privi di oggettive valenze scientifiche.

La verità è che i demagoghi populisti di oggi, per arruolare le loro coorti di sostenitori devono utilizzare ad arte lo spauracchio di “mostri”, “diversi” e “corruttori” per riuscire a infondere nelle persone più fragili e influenzabili quella paura e quell’odio così comodi per generare cieco consenso.

Accanto ad alcuni evergreen come gli immigrati – presentati tout court come criminali e stupratori – e gli islamici – rappresentati senza alcun imbarazzo come crudeli terroristi jihadisti – ora il nuovo bersaglio su cui sparare a pallettoni è quella della popolazione transgender.

D’altra parte, in tempi in cui i principali diritti delle persone LGB sono ormai stati assimilati dalla maggioranza dei cittadini – almeno nel mondo occidentale – l’unico modo per mettere in crisi il fronte LGBTQIA+ (già di suo precario) è proprio quello di concentrarsi sulla componente transgender, che ancora oggi è più facilmente discriminata, patologizzata e criminalizzata.

Peraltro, in questo, gli ultraconservatori populisti possono contare su ignobili complicità, come quelle che spesso noi della Compagnia del Gender denunciamo.

C’è, infatti, una sovrapposizione quasi perfetta con gli argomenti e le narrazioni anti-transgender delle femministe radicali trans-escludenti, le cosiddette TERF (in Italia hanno infiltrato ArciLesbica), e dei gruppi ultracattolici e antigender alla ProVita & Famiglia.

Questi ultimi, addirittura, sembrano considerare la componente transgender come un ideale “tallone d’Achille” (assieme alle Famiglie Arcobaleno) per attaccare l’intera popolazione dell’acronimo LGBTQIA+, rea di propagandare la famigerata ideologia gender.

Sempre più analisti e studiosi dei fenomeni politici hanno dimostrato come l’uso delle campagne di propaganda anti-trans e anti-gender si impenni in occasione di tornate elettorali o di passaggi politici importanti.

Proprio su questo argomento segnaliamo che a breve sarà pubblicato dalla rivista «ComPol – Comunicazione Politica» della casa editrice Il Mulino un interessante studio di Massimo Prearo e Alessio Scopelliti intitolato Framing Populist Radical Right Opposition to LGBTIQ+ Issues. Lega and Fratelli d’Italia’s Strategies on Social Media (Inquadrare l’opposizione della destra populista radicale ai temi LGBTIQ+. Le strategie di Lega e Fratelli d’Italia sui social media).

Grazie alle ricerche di Le Radici dell’Orgoglio sappiamo che sin dalla nascita del movimento di liberazione omosessuale italiano (allora si diceva così) vi è stata una componente transgender: sul n. 4 dell’ottobre 1972 della rivista Fuori! fa la sua comparsa Monica Galdino Giansanti, un “travestito” (con questo termine ancora per qualche anno si sarebbero autoidentificate molte persone transgender) della provincia di Ancona, che da quel momento non solo avrebbe iniziato un’impegnata militanza politica, ma sarebbe anche stata il referente del FUORI! per la zona delle Marche.

Opporsi alla nuova onda nera illiberale della destra populista radicale mondiale (non illudiamoci che non vi sia una strategia comune) e alle derive frazioniste di alcuni gruppi interni alla compagine LGBTQIA+ (a breve un articolo della Cavaliera del Gender Santa Speranza sulla discutibile LGB Alliance inglese) oggi passa attraverso un rinnovato impegno di inclusione e condivisione delle lotte.

I diritti delle persone transgender, delle famiglie omogenitoriali, dei migranti che fuggono dalle persecuzioni, di coloro che reclamano il diritto ad autodefinirsi non sono diritti di pochi e sacrificabili, ma sono diritti che dobbiamo tornare a ritenere di tutti e condivisibili se davvero vogliamo vivere in una società libera e giusta.

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Articolo apparso su Substack.com che riproduciamo con il consenso dell’autore. Qui il link all’articolo originale.

 

UNA VOCE AFONA

Quando ho letto l’articolo di Giorgio mi è sorta una sensazione di “disequilibrio”, e quando gli ho chiesto l’autorizzazione a ripubblicare le sue parole che trovo sacrosante, gli ho aggiunto che sentivo la necessità di scrivere un commento esclusivamente personale a postfazione, ben consapevole che il terreno è estremamente sdrucciolevole. 

Sin dall’inizio Pride magazine ha pubblicato articoli a tema T cercando quando possibile di farli scrivere a persone T, perché come scrive Monica Romano in  VEDI ALLA VOCE T  “Non è automatico produrre cultura trans. Uomini e donne transgender sono spesso stati raccontati e rappresentati da altri: medici, giudici, giornalisti”. Abbiamo riconosciuto il valore della presa di parola trans, cercando di rispettarla però non escludendo prese di parola anche di persone non T.

La comunità T è sotto attacco pesante da tempo, basta pensare alla copertina di Panorama del 17 gennaio 2023, che ho visto e comprato in un supermercato Esselunga a Milano, quindi è stata vista da decine o centinaia di migliaia di persone che probabilmente nemmeno hanno letto il relativo articolo. La freccia dalla punta avvelenata però è stata scoccata e dei bersagli sono stati colpiti.

Personalmente sono in un’attuale fase di confusione con alcune delle nuove galassie della transgenerità, perché non sono subito comprensibili dal mondo eterosessuale e anche da quello LGB. Per esempio le persone non binary o non binarie; il calco dall’inglese per l’uso dei pronomi (he/him, she/her, they/them) dove in italiano il pronome possessivo si lega all’oggetto e non al soggetto quindi si contorce la nostra grammatica che non prevede il genere neutro e quindi le opzioni gender neutral, e non solo: l’uso della lettera schwa; non più solo identità di genere bensì anche espressione di genere, affermazione di genere, autoidentificazione ecc.

Usare la parola cisgender per me è spesso e volentieri solo un modo per lucidare la coscienza con il brillantante. Forse qualche persona capisce che è un modo per affermare che quindi esistono le persone transgender (!), però poi cosa ne sanno davvero delle loro vite che noi persone arcobaleno tendenzialmente conosciamo essere estremamente complicate? Se ne interessano, si mettono in azione e come? Alleanza dove? Per esempio avete mai pensato alle difficoltà relazionali che incontra un uomo trans FtM con orientamento sessuale gay che ha effettuato solo la mastoplastica bilaterale, o vi limitate a feticizzarli nei video pornografici?

Io sono in un processo di metabolizzazione di parte del nostro presente. Non sono il mago Merlino né Harry Potter, non ho una bacchetta o formula magica per risvegliarci di colpo in un mondo 100% inclusivo anche dentro all’acronimo LGBT. Posso usare le parole (e lo faccio) per bacchettare a destra e a manca, sperando di stimolare dibattito e confronto, perché come mi ha scritto Giorgio “Esprimere perplessità o dubbi è una cosa corretta e molto utile per tutti”.

Se “gli altri” sono brutti e cattivi, “noi” non siamo abbastanza belli e buoni nel contrastarli. Se non ci capiscono o conoscono non è solo colpa loro, assumiamoci le nostre parti di responsabilità nella comunicazione e nell’educazione. In fretta magari, perché è evidente che piangersi addosso non sta portando da nessuna parte se non a cadere in un baratro sempre più profondo da cui sta diventando sempre più complicato riuscire a uscirne non troppo contusi.