Si è da poco conclusa la 22a edizione di Kilowatt Festival a Sansepolcro. Nella terra di Piero della Francesca si sono alternate proposte di teatro, danza e arte visiva anche a tematica LGBT tra cui uno spettacolo-concerto dedicato a un lavoro su commissione da parte di una rivista a Pier Paolo Pasolini recuperato dall’oblio.

immagine di apertura: “Shaking Shame” – foto di  Luca Del Pia

 

Lo implica già il nome Kilowatt, sinonimo di energia, che è la caratteristica peculiare di questo festival assai amato e seguito dal pubblico giovane e – cosa non comune – radicato nel territorio, che vede sempre al timone della direzione artistica Lucia Franchi e Luca Ricci dell’associazione CapoTrave/Kilowatt, che all’edizione di quest’anno hanno dato il claim Contengo Moltitudini, citando il verso di una poesia di Walt Whitman.

“In ognuno di noi – affermano – convivono molti sé: la molteplicità porta alla contraddizione che è la capacità di accogliere punti di vista diversi, fuori e dentro di noi. Siamo estensioni verso ciò che è altro da noi, nonostante questo tempo di esasperato bisogno di definirsi, di delimitarsi, di tormentare le parole per costringerle a rappresentare la pluralità.  Una lingua forse non riesce a contenere le innumerevoli identità del mondo, ma l’Arte sì, perché riesce a creare qualcosa di più vasto di quello che ogni singola esistenza può aver vissuto, per far estendere e moltiplicare le nostre piccole vite”.

309 artisti e artiste impegnati in 109 proposte diffuse in 23 spazi al chiuso o all’aperto dello splendido borgo medievale in nove intense giornate, sempre affollate da spettatori in gran parte del luogo, oltre a numerosi operatori e giornalisti. Non potevano mancare spettacoli a tematica arcobaleno di cui diamo conto, dividendoli tra teatro e danza.

Kilowatt ha sempre dedicato un focus a un padrino (lo scorso anno era stato Antonio Latella), però in questa edizione ne avuti ben due: Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, artefici e fondatori dell’omonima compagnia (in passato si chiamava Il Carrozzone e poi Magazzini Criminali) che, scrivendo pagine indimenticabili nella storia del nostro teatro, sono sempre stati sensibili alle tematiche di genere e hanno messo spesso in scena drammaturghi omosessuali.

A Kilowatt hanno presentato tre loro nuove produzioni e sono stati oggetto di un convegno diviso in due sezioni, Teatro e Arti Visive e L’attore e la sua voce, in cui si è discusso sui ruoli gay, lesbici o trans interpretati da attori e attrici di generi diversi, come è stato per Lino Guanciale che ha ricordato la sua eccellente prova in Ho paura torero in cui era il travestito Fata dell’angolo.

La belva nella giungla – ph. Luca Del Pia

La belva nella giungla (The Beast in the Jungle) è un lavoro di video-teatro (o un’opera-video, come lo definisce il regista Tiezzi) che ha realizzato dall’omonimo racconto di Henry James, tradotto e adattato da Sandro Lombardi con Anna Dalla Rosa e Graziano Piazza, supportato dagli interventi pittorici di Jacopo Stoppa e dalla fotografia e montaggio di Nicola Bellucci.

Sempre in video abbiamo visto una serie di ritratti di pittori del medioevo e del manierismo italiano dal titolo Vasari: le vite. Nati sotto Saturno, ispirati infatti all’opera dello storico dell’arte che ci ha fatto conoscere più da vicino vizi e virtù di Maestri quali Sodoma, Paolo Uccello, Rosso Fiorentino e Pontormo, ognuno interpretato da un attore diverso che ne ha reso al meglio le caratteristiche fisiche e psicologiche.

Nella primavera del 1959 la rivista Successo commissionò a Pier Paolo Pasolini (reduce dalla pubblicazione di Una vita violenta e Ragazzi di vita, apprezzati da pubblico e critica ma ignorati dai grandi premi letterari) un reportage in tre puntate di un viaggio a tappe lungo le coste della penisola. Tra giugno e agosto di quell’anno lo scrittore, partendo da Ventimiglia, giù fino alla Sicilia per poi risalire sino a Trieste, si mise al volante di una Fiat 1100 cogliendo, con la consueta, magica finezza linguistica – venata spesso di empatia e arguzia – ma al contempo accessibile a tutti, dettagli e particolari all’apparenza irrilevanti però perfetti per offrirci un ritratto dell’Italia e degli italiani negli anni che precedevano il boom economico.

La lunga strada di sabbia – ph. Luca Del Pia

Di grande impatto sono le descrizioni della natura e dei paesaggi attraversati come quelle dei corpi di giovanotti e fanciulle. La lunga strada di sabbia è uno spettacolo-concerto in cui Sandro Lombardi legge con la consueta maestria i brani più significativi degli articoli e la mezzosoprano Monica Bacelli, accompagnata al piano da Andrea Rebaudengo, si esibisce in canzoni popolari dell’epoca.    

Un triangolo davvero insolito è quello formato da Uno, Zero e dalla moglie del primo. I due uomini sono legati da lunga data da fraterna amicizia, o meglio, per Uno il termine è appropriato mentre Zero è da sempre innamorato perso dell’amico, senza mai averglielo confessato. Cosa può succedere se il maschio alfa, messo alle strette dalla consorte che vuole assolutamente un figlio, non può accontentarla perché è sterile?  Chiaramente non resta altro che chiedere un “favore” all’amico il quale non può che rimanere sorpreso e alquanto in imbarazzo, avendo sempre considerato la donna una simpatica padrona di casa e un’ottima cuoca.

Per compiacere Uno, il malcapitato accetta e assistiamo così ai suoi primi approcci da etero: non è difficile per la signora fargli ammettere quali sono i suoi veri sentimenti per il marito ma poi l’uomo, con qualche impaccio, supera l’esame. Sarà forse una punizione divina nei confronti di Uno che come secondo lavoro (è un ostetrico) fa il killer?

Fatto sta che il bebè, assistito nel parto dal padre solo per l’anagrafe nasce senza gambe e la coppia deve affrontare il dilemma se tenerlo o abbandonarlo al suo destino. Tutta questa vicenda fa parte di un lungo flashback perché nell’incipit della pièce abbiamo visto Uno uccidere Zero, forse perché ritenuto non sufficientemente performativo o in quanto messo a confronto con la sua omosessualità mai palesata?

De/frammentazione di Dramma Assoluto – ph. Luca Del Pia

De/frammentazione di Dramma Assoluto è un noir con spiccata vena surreale scritto da Fabio Pisano, diretto da Michele Segreto e prodotto da servomutoTeatro e Libera Imago. Qualche ripetizione in meno e maggior compattezza non nuocerebbero al lavoro, efficacemente interpretato da Francesca Borriero, Michele Magni e Roberto Marinelli.

Anche se non ci sono personaggi gay, lesbici o transgender il tema è sicuramente uno di quelli che è molto dibattuto nella nostra comunità: il passar degli anni, la paura d’invecchiare e i timori o le frustrazioni che la terza età si porta appresso. Un serio problema soprattutto per gli uomini gay che, ovviamente con tutte le debite eccezioni, considerano la giovinezza e la perfetta forma del corpo come un must per trovare gratificazione sentimentale e sessuale.

L’argomento è sviscerato con grandi dosi di leggerezza e umorismo in Miserella, titolo azzeccato dato che si riferisce a come viene chiamata in Toscana la Daphne Misereum. una pianta che ha la prerogativa di avere, sopra un gambo in apparenza secco, una grande quantità di bei fiori: un implicito invito quindi a considerare anche l’altra faccia della medaglia.

Miserella – ph. Luca Del Pia

Quattro amiche sono alle prese, ognuna a modo loro, con questo fantasma. C’è chi lo esorcizza e tende a rimuoverlo e chi invece si prepara serenamente a questa fase della vita. Interessante è la struttura della pièce che ai dialoghi e monologhi delle attrici mescola registrazioni audio di persone comuni intervistate nel corso delle tappe delle residenze fatte dalla compagnia Teatro Dell’Argine in Emilia-Romagna.

Sono riflessioni e considerazioni agrodolci a cuore aperto di notevole presa per la loro genuinità. Miserella(che vedremo in tournée nella prossima stagione) è scritto e interpretato dalle adrenaliniche e accattivanti Caterina Bertoletti, Micaela Casalboni – che firma anche la regia – Giulia Franzaresi e Isa Strizzi, collaborazione alla drammaturgia di Nicola Bonazzi e Andrea Paolucci.

Passiamo alla danza nel cui cartellone era molto atteso Shaking Shame, una creazione della coreografa Melyn Chow, originaria di Singapore e residente in Olanda, dove opera anche nel campo del mimo e della performance. Come si evince già dal titolo, è un invito a liberarsi dalla depressione e dalla vergogna, ad affrancarsi dai tabù, a scoprire il piacere attraverso l’erotismo senza fare distinzioni tra etero e omosessualità. Risulta quindi comprensibile che Chow per i suoi quattro danzatori (Estela Canal Parejo, Rita Bifulco, Sjaid Foncé e Ashley Ho) abbia voluto la nudità integrale.

Ecco allora che i due ragazzi e le due ragazze esplorano tramite il movimento incessante e compulsivo, accompagnato dalla musica techno, tutti i possibili intrecci dei loro corpi scultorei per valicare i confini tra sensuale e sessuale. La vergogna è inesorabilmente legata alle relazioni che abbiamo con il prossimo, le proiezioni e i giudizi interiorizzati che gli altri possono avere nei nostri confronti, e nella loro trascinante performance gli infaticabili ballerini provano a scacciare proiezioni e vergogna che fluiscono su di loro, riuscendoci alla perfezione.

Dioscures – ph. Luca Del Pia

Sul mito di Castore e Polluce, figli di Zeus (che la leggenda ha poi ripreso con quelli di Eteocle e Polinice e di Romolo e Remo) ha lavorato la coreografa e danzatrice madrilena Marta Izquierdo Muñoz per Dioscures in cui intende ridefinire i codici del maschile. I gemelli, infatti, sono lontani dal modello virile tradizionale, ci appaiono androgini, esposti come sono in un gioco di specchi e rifrazioni. A dominare sono l’attrazione (e qui pensiamo a Narciso) e il contrasto che possono avere, come accade per il ragazzo, esiti ferali. Thibaut Michel ed Ébène attraversano con perizia diversi registri e linguaggi coreografici, giocando su ermafroditismo e androginia.

Ricordiamo, infine, il nostro Vittorio Pagani (giovane coreografo e ballerino formatosi a Londra) con il suo A Solo in the Spotlight nel quale assembla danza e proiezioni video per farci condividere momenti della vita di un performer tra apparenza e interiorità, rivelando anche le nefaste conseguenze che l’interpretazione di un personaggio può comportare. Pagani scandaglia le trasformazioni che un corpo affronta quando si trova sotto i riflettori (riferimento al titolo), ponendosi al tempo stesso la domanda su come sia possibile conciliare la propria autenticità con un ruolo che si deve ricoprire. Un ottimo esempio di come danza e tecnica si possono anche coniugare con spontaneità, ironia e leggerezza all’insegna dell’innovazione.

Kilowatt non è solo teatro, danza, arte visiva e performance digitale, bensì anche tanto altro. C’è per esempio la Danza Urbana nella piazza di Torre Berta e negli Orti del Bastione di Porta di Ponte; i reading di Ad alta voce con gli studenti delle scuole superiori; il vivacissimo gruppo dei Visionari, 44 cittadini della Valtiberina appassionati di teatro e danza che contribuiscono alla selezione degli spettacoli in cartellone, visionando oltre 400 proposte in video ogni anno. Non può mancare la musica con i concerti all’ora dell’aperitivo ai Giardini di Piero (dove ci si può rifocillare con l’ottima cucina locale) e per i più nottambuli il dopofestival con il DJ-set a cura dei Citti del Fare.