Immanuel Casto esce per la prima volta dalla dimensione musicale con cui ha imparato a farsi conoscere e apprezzare dal pubblico e approda a teatro in un recital “meta-comico” che è ripartito per una lunga tournée estiva. Il “Casto Divo” si candida a diventare il nuovo Giorgio Gaber?
 
foto di Frank Procilo
 
 
“Vi spiego come funziona il mio senso dell’umorismo, che è incentrato sul dire cose lineari con tono abbastanza monocorde e a quanto pare questa cosa fa ridere, così ho deciso di smettere di combatterla e anzi di iniziare a lucrarci”. Così esordisce Manuel Cuni, alias Immanuel Casto, nello spettacolo teatrale Non erano battute, la cui tournée ha riempito i teatri in tutta Italia questo inverno per riprendere con nuove date estive.
 
Cantautore dai testi espliciti e irriverenti come Escort 25 e Anal Beat, e anche militanti come la bellissima Da grande sarai frocio, inventore del cosiddetto Porn Groove nei primi anni 2000, quando parlare di sessualità e omosessualità era ancora assai poco mainstream, past president di Mensa Italia The High I.Q. Society, in questo suo primo recital mostra un lato più intimo e personale, già in parte svelato sui social media, e per la prima volta sul palco Manuel prevale su Immanuel. In bilico tra conferenza scientifica e stand up comedy, lo spettacolo svela aspetti curiosi e a tratti esilaranti della comunicazione tra esseri umani nei diversi contesti sociali, analizzati e sezionati dal suo sguardo atipico di soggetto neurodivergente.
 
 
Tale diversità si concretizza nel fatto che mentre nella comunicazione interpersonale, specie per quanto riguarda le conversazioni di circostanza – il cosiddetto small talking – i comportamenti socialmente accettati e graditi si assorbono per osmosi, imitazione e intuito più che per ragionamento, Manuel ha invece dovuto, per sua particolare struttura cognitiva, maturare le competenze sociali tramite analisi razionale delle parole, dei fatti e dei comportamenti altrui.
 
È arrivato così a comprendere tali dinamiche forse più tardi nel tempo però in modo assai più profondo e vero, smascherandone ambiguità e contraddizioni che spesso sfuggono alle cosiddette persone “normali”, per le quali è più facile apprendere certi meccanismi per istinto e che in seguito li danno per scontati, senza coglierne i limiti. Naturalmente questo percorso, che si intuisce non è stato privo di sofferenza per lui, passa attraverso episodi imbarazzanti quanto esilaranti della sua vita, risultando il suo modo di comunicare involontariamente comico, soprattutto per l’uso letterale del linguaggio e per la formulazione lapidaria delle frasi, spesso fuori contesto o bizzarramente logiche.
 
Scopriamo così Manuel bambino rendersi conto con sorpresa che il vero scopo del campo estivo del WWF è socializzare e non realizzare il miglior team per un progetto creativo; da ragazzo stupirsi che l’amica non gradisca il suo ingenuo rivelarne ai commensali i trascorsi con le droghe pesanti; poi la necessità di imparare a trattare in modo diverso maschi e femmine; l’irritarsi per certe ipocrisie linguistiche passivo-aggressive come chiedere scusa prima di contraddire qualcuno; scambiare l’incoerenza per falsità; chiudere una lettera intimidatoria con “Cordiali saluti” e innumerevoli altre situazioni di quotidiana surrealtà.
 
 
Percorrendo una strada meno frequentata, Manuel arriva a una consapevolezza comunicativa superiore a quella altrui, facendo inizialmente di tutto per nascondere la propria diversità per poi invece rivendicarla, e questo mi ha ricordato a un tratto Far finta di essere sani, uno dei più celebri brani di Giorgio Gaber. Là erano il consumismo (nel dubbio mi compro una moto telaio manubrio cromato), e l’identità politica e intellettuale (e faccio un gruppo di studio le masse la lotta di classe i testi gramsciani) gli strumenti della finzione e della costruzione della propria normalità.
 
Nel testo portato in scena da Manuel che vive tempi più fluidi e introspettivi, invece, prevale l’analisi della propria interiorità, ma il concetto è analogo, al punto che lo si può avvicinare ai grandi stand up comedian internazionali. Tra l’intimismo di Hannah Gadsby e Bo Burnham, ma senza farsi mancare fucilate politicamente scorrette alla Ricky Gervais, volendogli trovare un predecessore italiano forse sarebbe proprio Gaber. I due artisti, infatti, al di là della distanza dei temi e delle epoche, hanno molti tratti in comune, non solo per la disinvoltura con cui passano dalla canzone al monologo teatrale, ma soprattutto per l’essere profondamente innovatori del pensiero e anticipatori della realtà, nonché per l’utilizzo di uno stile ironico e provocatorio unito a un serio impegno politico e sociale.
 
È caro a entrambi il tema della diversità, e se Gaber, attivo dal secondo dopoguerra in poi, aveva tra i contenuti più ricorrenti l’uguaglianza sociale, la partecipazione di piazza e la lotta di classe, oggi Casto, forte delle maggiori competenze raggiunte nel campo delle neuroscienze, sposta l’obiettivo sui processi cognitivi, sulla sessualità e sul rapporto tra interiorità dell’individuo e dimensione sociale. Concetti che comunque troviamo in parte anticipati già in Gaber. Nel testo di Il dilemma per esempio c’era già tutta la complessità feroce dell’amore, che Casto esprimerà poi mirabilmente nella sua Sangue e incenso.
 

Immanuel Casto – ph. Frank Procilo

 
Entrambi progressisti per quanto riguarda libertà individuale e diritti civili e al tempo stesso critici verso conformismo e omologazione, i due artisti hanno come fondamentale tratto comune l’essere liberi pensatori, al di sopra persino delle ideologie a cui appartengono. Gaber non risparmiò nessuno nella feroce satira sui luoghi comuni di “Destra e Sinistra” e spesso si scagliò contro la perdita di valori della sua parte politica.
 
Casto, con toni più pacati ma fermi, pur essendo attivista per i diritti arcobaleno si è opposto di recente alla deriva antiscientifica di parte del mondo progressista, definendola “progressismo magico” e rilevandone l’irrazionalità del negare aspetti incontrovertibili, come la correlazione tra obesità e salute, le differenze biologiche tra i generi o l’impossibilità di modificare la realtà tramite il solo linguaggio. Anche in questo caso, della volontà di Casto di arginare le derive del politicamente corretto e della cultura woke a mio avviso possiamo trovare una sorprendente anticipazione in Il potere dei più buoni di Gaber.
 
 
Volendo invece notare una differenza tra i due, forse solo formale o forse no, questa risiede nel diverso uso del corpo all’interno della performance teatrale. Infatti mentre Gaber esprimeva sul palco le emozioni in modo estremo, tramite una mimica molto dinamica, dinoccolata e a volte buffa, con grande varietà di gesti ed espressioni facciali, lasciando esplodere a tratti anche la rabbia, Casto gestisce il palco in modo più composto e controllato e sembra prevalere in lui una sorta di logica e pacata saggezza, a tratti contrastante con l’irriverenza del suo personaggio.
 
Questo aspetto si coglie in special modo nella parte finale del recital, in cui racconta il modo in cui spiegò a suo fratello, non particolarmente portato per la logica, un famoso quiz: il paradosso delle tre capre di Monty Hall. Il testo si trova anche in rete, ma la soluzione è molto contro intuitiva per chi non sia esperto di statistica. Vi garantisco che se vedrete lo spettacolo di Manuel lo capirete davvero questo quiz, e se vi ci eravate già spaccati la testa in passato lo capirete forse per la prima volta davvero a fondo. Perché a volte basta, invece di colpevolizzare chi si trova in difficoltà, fornire una lente di ingrandimento, un diverso punto di osservazione, e questo vale nella logica, nella comunicazione e nella vita.
 
 
Prossime date:
 
28.06 BOLOGNA Bonsai Garden
07.07 CAGLIARI Lazzaretto estivo
17.07 ROMA Villa Ada Festival