Una romantica storia d’amore tra due ragazzi d’oggi in Italia, le colpe di una società ipocrita dopo la scoperta dell’omicidio di un adolescente in Spagna, un ménage lesbico nell’America di fine Ottocento. La scena teatrale offre agli spettatori interessanti sguardi inconsueti sulle nostre realtà.

foto di apertura di Serena Pea

 

A e B (non sapremo mai i loro veri nomi) sono due ragazzi entrambi in terapia dallo stesso psicoanalista e ovviamente non si conoscono, ma quando A, aspettando in anticamera il suo turno per cominciare la seduta, ascolta per caso la voce di B e ne rimane affascinato, decide di origliare le conversazioni tra lui e il terapeuta. Un giorno però B lo scopre e, saputo che l’altro lavora all’Accademia di Brera di Milano, vi si reca per fargli una gran scenata. Lo frena la dichiarazione d’amore di A, che lo paragona ai ritratti dei capolavori esposti. In un secondo incontro, complice un temporale, scatta l’attrazione fatale e il desiderio: è quindi sesso nella casa che B condivide con un’amica.

Il passo verso l’amore è breve e dopo 126 giorni i giovanotti (che nel frattempo si sono dati reciprocamente buffi soprannomi: Jessica, intendendo la Fletcher di La Signora in giallo, per A, e Billy, il ballerino Elliot del film, per B) decidono di andare a vivere insieme. La routine è quella di tutte le coppie di qualsiasi genere esse siano, con la spesa al supermercato, le pulizie di casa, la discoteca o le serate davanti alla TV le partite a padel giocate in doppio con gli amici Paolo e Francesca (non in scena, solo evocati).

Alessandro Bandini e Alfonso De Vreese

Obbligata è la presentazione alla famiglia, in questo caso quella di A che abita a Bologna. Ecco allora la conoscenza con i genitori, la sorella e il cane Tolstoj in un esilarante siparietto (agito sempre da loro due soli) tra imbarazzi, gaffe e battute all’insegna dell’allegria. Presto emergono però anche i primi attriti: A nutre il desiderio di un figlio, cosa che B avversa completamente. Poi non mancano le insofferenze per abitudini non condivise o le reciproche disattenzioni e di conseguenza anche i primi accesi litigi e le reciproche accuse.

Alle incomprensioni si aggiunge l’insoddisfazione di B per il suo lavoro alla reception di un hotel, e in lui cresce giorno dopo giorno sempre più forte la spinta a lasciare Milano e trasferirsi a Parigi per lavorare nella moda. Alla fine prende la sofferta decisione e la comunica ad A, rassicurandolo che la distanza non creerà problemi alla loro unione. Quest’ultimo non ne è affatto convinto ed è comprensibilmente triste e sconcertato. Le cose precipitano sulla strada per l’aeroporto, quando in auto B confessa il tradimento consumato con Paolo. Per A è la fine e costringe impietosamente il compagno a scendere e proseguire a piedi.

Le cose a Parigi non vanno così bene come B aveva sperato e quindi si rassegna a tornare in patria. Si ripresenta a casa di A e lo trova mentre sta finendo di traslocare e andare a vivere con Claudio, il suo nuovo partner, un professore di 49 anni, sposato e con due figli. Dopo un anno quest’ultimo torna dalla moglie e i due si ritrovano, decidendo però di rimanere solo amici.

Il desiderio la spunta sulla razionalità nonostante tutto ed è ancora sesso, anche se rimane un episodio isolato. Regge invece l’amicizia e quando muore la mamma di B, lui chiede all’amico di raggiungerlo a Bergamo e stargli vicino nella casa vuota dei genitori. Rimarrà il semplice affetto oppure la loro relazione vedrà una nuova evoluzione?

Su queste pagine avevamo anticipato dal Festival di San Ginesio (di cui è Direttore artistico il regista Leonardo Lidi) il progetto di Come nei giorni migliori, del ventiquatrenne drammaturgo Diego Pleuteri (allievo della scuola per attori, drammaturghi e scenografi dello Stabile di Torino) che su richiesta dello stesso Lidi si è assunto il non facile compito di scrivere una romantica commedia d’amore tra due ragazzi.

“La sfida più complessa – afferma l’autore – risiedeva proprio lì, nell’amore, una semplice storia d’amore. E quanto è difficile parlarne, quanto è difficile riconoscerlo ed esprimerlo. Quanti dubbi costanti sul fatto che ci sia, su cosa sia, su quando sia, dove sia. Magari quello che noi chiamiamo amore si rivela nonostante noi, nelle nostre azioni e relazioni, nel nostro porci al mondo, senza nessuna consapevolezza se non nel tentativo di dare questo nome per definire qualcosa che non possiamo spiegare.”

foto: Luigi De Palma

Per la sua regia Leonardo Lidi ha messo in campo una felice serie di invenzioni, cominciando col togliere le poltrone dello storico e accogliente teatro Gobetti di Torino per montare una funzionale gradinata, lasciando il palco e lo spazio restante vuoti a eccezione di pochi arredi mossi dagli interpreti che fa spesso interagire con il pubblico a cui si rivolgono cercando conferme alle loro domande.

Altro punto di forza è la dinamicità e il ritmo conferito alla vicenda, merito anche dei due protagonisti che hanno interagito col regista dando vita a una fruttuosa collaborazione. Alfonso Di Vreese è l’irruente, entusiasta e tenero A, mentre il giovanissimo Alessandro Bandini è l’ombroso, stratega ma anche estremamente sensibile B.

La cura delle luci mutanti (spesso lasciate accese in sala) è affidata come le scene a Nicolas Bovey; i costumi che gli attori si cambiano a vista, sono di Aurora Diamanti. Il pubblico, giustamente trasversale e di ogni età, li ha a lungo acclamati. Ci auguriamo di sapere Come nei giorni migliori (produzione del Teatro Stabile di Torino) impegnato nella prossima stagione in una lunga e articolata tournée.

Il ritrovamento del corpo orrendamente mutilato nei genitali del diciassettenne Albert sconvolge l’apparente tranquillità di un villaggio della Catalogna. A metterci a parte della sua vita passata saranno in flash back lui stesso, la madre Antònia, la preside del suo liceo Julia, il falegname Ricard, il maturo transessuale Eliseo, un compaesano e un contadino. Tutti loro, in un modo o nell’altro, legati al ragazzo ucciso.

Si palesa così il suo essere pansessuale e l’aver dispensato la prorompente vitalità a donne e uomini, senza peraltro negarsi rapporti occasionali in una nota zona di cruising, ovviamente frequentata anche da sposati e fidanzati dichiaratamente eterosessuali, e senza distinguo di ruoli.

Attratto da Julia, vedova del consorte Roger che si era impiccato dopo che la sua relazione con Eliseo era stata scoperta, una notte Albert scavalca il suo balcone, irrompe in camera da letto già nudo ed eccitato e la possiede più volte. Scatta per lei l’inevitabile infatuazione complice la bellezza e la virilità del ragazzo, tanto da desiderarlo ogni giorno e donargli un anello con incise le loro iniziali.

foto: Stefano Cantini

Attraverso le diverse testimonianze vengono alla luce i segreti spesso inconfessabili di alcuni integerrimi abitanti del paese, abituati a ergersi giudici e censori degli stili di vita del prossimo. Per esempio il macho Ricard che aveva più volte abusato Albert quando lui era ancora un bambino e si recava con un amichetto alla segheria per raccogliere trucioli. Chi si sottrae a quella velenosa ipocrisia è Eliseo, il quale nutriva per Albert un casto, reciproco affetto. Lasciata per sempre la rotatoria dove si prostituiva in minigonna, fugge dal villaggio senza lasciare traccia.

Il ricordo più partecipato e toccante è comprensibilmente quello della mamma Antònia che del figlio perduto ricorda la bontà d’animo, la generosità e l’attaccamento al padre, scomparso prematuramente a 36 anni, con cui amava andare a pescare. Non sapremo mai chi lo ha assassinato: un marito geloso, un amante tradito o una donna respinta?

Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti è l’ultimo lavoro del drammaturgo catalano Josep Maria Mirò che il regista e suo traduttore Angelo Savelli ha meritoriamente fatto conoscere in Italia ormai da parecchi anni. Eravamo infatti, stati colpiti e ne avevamo reso conto su queste pagine dal suo Principio di Archimede, visto al debutto al teatro di Rifredi di Firenze (ora inglobato da Toscana Teatro) dove un giovane e aitante istruttore di nuoto veniva senza alcuna prova sospettato di pedofilia e aggredito da un genitore violento.

foto: Federico Metral

Una costante delle opere di Mirò, tradotto in 20 lingue e rappresentato in oltre 30 paesi, è infatti è il senso di mistero che le pervade (come accade nell’avvincente Nerium Park), il dubbio se i personaggi siano persecutori oppure vittime di una società incapace di ammettere le proprie colpe e inadeguatezze. Spesso sono accusati di qualcosa che non hanno commesso, soffrono la paura di vedere invasi i propri spazi da emarginati o diversi. Lo spettatore esce volutamente senza certezze e nel caso sarà lui a sposare una o un’altra causa.

Un’originale prerogativa della pièce voluta dallo stesso Mirò è che venga recitata in forma di lettura da un solo attore (come accaduto per Pere Arquillué al Festival Temporada Alta di Girona) o attrice. A presentarla nel 2021 in anteprima mondiale è stata una delle nostre più celebri e seguite attrici, Maddalena Crippa, reduce dal successo del Compleanno di Harold Pinter con la regia di Peter Stein.

Qui, diretta da Angelo Savelli, con energia potente dà vita a tutti i personaggi, riuscendo mirabilmente a differenziarli nelle sfumature della voce sapientemente dosata a seconda delle caratteristiche di ognuno. Abbiamo da poco applaudito Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti (pubblicato come le altre opere dell’autore da Cue Press) allo storico teatro Gerolamo di Milano (che ha anche ospitato un’interessante incontro con Mirò) e ci siamo chiesti, dato il valore del lavoro, se non meriterebbe un allestimento teatrale vero e proprio con Maddalena Crippa e un cast al suo livello. Chissà se l’autore ci farà un pensiero?

Non è facile riassumere in poche righe il contributo che il drammaturgo e sceneggiatore David Mamet, icona americana, nato a Chicago nel 1947, ha saputo dare a teatro e cinema. In Italia lo abbiamo conosciuto prima attraverso lo schermo con Il postino suona sempre due volte, Il verdetto e poi il cult Gli intoccabili, diretto da Brian De Palma. Di seguito anche come regista di La casa dei giochi, Le cose cambiano e il thriller Homicide. Altrettanto significativa è la traccia che ha lasciato come autore per la scena, da American Buffalo, a Perversione sessuale a Chicago, Glengarry Glen Ross, Oleanna sono stati tutti allestiti con successo sui nostri palcoscenici.

I temi cari a Mamet riguardano le dinamiche psicologiche e sociali insite nel capitalismo, nella sessualità, il giudaismo e la mascolinità. Mamet descrive una società contemporanea regolata dall’istinto di sopraffazione, dall’inganno e dal rancore in un contesto di rapporti difficili e complicati tra persone spesso odiose e imperfette come gli agenti immobiliari di Glengarry Glen Ross che pur di vendere case non esitano a commettere le peggiori nefandezze sino a giungere al crimine. È un’America alla quale attraverso i suoi personaggi non risparmia feroci critiche, “Hollywood è un incrocio tra una SPA e una fogna” o al mondo dello spettacolo, “Il miglior genere di drammaturgia prodotto dagli Stati Uniti sono le pubblicità del Super Bowl: in 10 o 30 secondi raccontano una storia magnifica e lo fanno in modo che il finale sia sorprendente e inevitabile.”

Se le sue pièce sono quasi sempre caratterizzate dall’apparente assenza di testo e dall’uso di un tipo di dialogo “spezzato”, nel 1999 desiderava evidentemente evadere per una volta dal suo cliché e, con un tuffo nel tardo Ottocento, ha scritto Boston Marriage, una deliziosa commedia brillante dove tiene banco un dialogo serratissimo e una vicenda ricca di colpi di scena. Il pudico (e ipocrita) titolo descrive la condizione di due donne lesbiche che all’epoca decidevano di amarsi e vivere insieme senza dipendere economicamente dagli uomini.

Maria Paiato e Mariangela Granelli

È quanto succedeva ad Anna e Claire, amanti non più giovanissime, sino a quando la seconda ha deciso di separarsi dalla compagna. Dopo un lungo silenzio però fa irruzione a casa sua per chiederle un grande favore. Anna la riceve in déshabillé con una vestaglia dai toni pastello, sfoggiando una magnifica collana di smeraldi, un regalo del suo nuovo protettore, un ricco gentiluomo sposato che la mantiene in cambio delle sue grazie. Ora che si è assicurata benessere e tranquillità economica vorrebbe riallacciare la relazione con l’ex partner.

Grande è la sorpresa di Claire al cospetto di un’inaspettata realtà, ma è più importante la ragione della sua visita. Ha conosciuto una ragazza che sembra interessata alle sue avances però non avendo un posto dove fissare il primo appuntamento e godersi i piaceri del sesso con la fanciulla, chiede ospitalità all’amica. Questa dapprima rifiuta poi propone un compromesso: vittima della gelosia e punta nell’amor proprio, accetterà solo se potrà osservare non vista il convegno galante.

Ottenuto il sofferto assenso di Claire, le due preparano il setting aiutate dalla cameriera d’origine scozzese Catherine, vessata dalla padrona di casa e meno sciocca di quel che sembra. Il sospirato rendez-vous però fallisce miseramente quando sulla soglia, ricevuta da Anna, l’ospite le vede al collo la collana della madre, donata furtivamente dal padre all’amante. Lo smacco subito da Claire e i timori di Anna di perdere quel prezioso sostegno finanziario segneranno la definitiva rottura tra le due oppure Claire, spenti gli ardenti bollori, capirà chi l’ama davvero e la desidera ancora?

Erano parecchi anni che la commedia non figurava nei nostri cartelloni. L’ultima volta fu nel 2001 con la regia di Franco Però e l’interpretazione di Valentina Sperlì, Veronica Pivetti e Caterina Marcella Formenti. A riproporla è oggi il regista Giorgio Sangati che prende alla lettera l’intenzione di Mamet di parodiare la prosa ampollosa dell’epoca attraverso il paradosso, forse esagerando un po’ con i toni enfatici e melodrammatici richiesti alle attrici. Sono gustose le citazioni bibliche che fanno riferimento alle origini ebraiche di Mamet così come la stravagante leggerezza dei preparativi per la seduta spiritica che le due donne si apprestano a organizzare per porre riparo all’increscioso incidente della collana.

foto: Serena Pea

Il motore e punto di forza dell’operazione sta nel talento delle interpreti. Nei panni di Anna si cala Maria Paiato, perfetta sia nell’amplificare languori, struggimenti e battute alla Eleonora Duse (il “saziati d’imene” rivolto all’amica) sia nei tratti più aggressivi e autoreferenziali. Alla sua esasperata femminilità, Mariangela Granelli oppone la determinazione e la postura quasi mascolina di Claire, sapendo però dare benissimo anche voce alle spinte del desiderio e dell’infatuazione. Tra loro si destreggia la Catherine di Ludovica D’Auria che disegna personaggio dai molti risvolti comici, finge una disarmante ingenuità ma sfrutta, invece, le debolezze delle due complici, concedendosi anche una focosa parentesi erotica con un operaio di passaggio.

La scena con le pareti rosa confetto del salotto di Anna (intenzionalmente finte e precarie a sottolineare l’illusorietà) sono di Alberto Nonnato, gli sfarzosi costumi di Gianluca Sbicca e le musiche di Giovanni Frison. Prodotto dal Centro Teatrale Bresciano in collaborazione con il Teatro Biondo di Palermo, abbiamo visto Boston Marriage in una festeggiata replica al teatro Sociale di Brescia. In definizione il seguito della tournée nella prossima stagione.