Una coraggiosa letterata lesbica insofferente alle regole fa dei suoi difetti e del suo pessimo carattere un’arma micidiale. Protetta e consigliata da Simone De Beauvoir, che ne riconosce lo straordinario talento, la ripubblicazione in italiano del suo romanzo più famoso permette di riscoprire la sua scrittura scandalosa ed estrema.
A quasi sessant’anni dalla sua prima edizione in lingua francese, meritoriamente le edizioni Neri Pozza hanno ripubblicato, nella bella traduzione di Valerio Riva, La bastarda di Violette Leduc. L’edizione italiana ha anche il merito di ripresentarci quest’opera con la prefazione che all’epoca le dedicò Simone de Beauvoir. Ma chi è questa Leduc, così poco nota alla più parte dei lettori italiani?
Figlia di una domestica sedotta dal figlio del padrone, nasce nel 1907 ad Arras, una cittadina nel nord della Francia, in una poverissima camera d’affitto, e resta per tutta la vita “la bastarda”, sinonimo di esclusione ed emarginazione perenni. Sensibilissima e appassionata, innamorata delle donne e in maniera impossibile degli omosessuali, si racconta in un linguaggio unico, intensamente personale, lirico e carnale allo stesso tempo che la rende una delle personalità più interessanti e complesse della civiltà letteraria del ‘900 europeo
La sua vicenda di scrittrice ha inizio nel 1946 con L’Asfissia, quando Albert Camus opera perché questo suo primo scritto venga edito addirittura da Gallimard, uno dei massimi editori francesi, se non il massimo. Negli ambienti culturali nella capitale d’Oltralpe se ne parla e molto, così come si continuerà a parlare anche delle sue successive opere. La cerchia della de Beauvoir e Sartre, di Camus e Genet, ma anche di Cocteau, solo per citarne alcuni, la stimano, la considerano, ma il pubblico dei lettori la ignora.
Fino a quando, per uno di quegli assurdi scherzi del destino di cui la nostra vita è pregna, nel 1964 con La Bastarda scoppia il caso. Candidato al prestigioso premio Goncourt che non vinse per poco, il volume va a ruba e tutti vogliono leggere e conoscere anche le precedenti opere dell’autrice.
Violette Leduc in La Bastarda racconta la sua vita fino al 1944 e, come nella quasi totalità dei suoi scritti, racconta di se stessa, della sua vita, delle sue relazioni con le donne e gli uomini che ha frequentato, amato, odiato. Un memoir, un diario, oppure un romanzo di quel genere tanto discusso che Serge Doubrovsky nel 1977 battezzerà (non inventerà) “Autofiction”?
Nessun diario però è davvero scritto solo per noi stessi se, trascorsi gli anni della stesura, non lo gettiamo nelle vivaci fiamme di un camino… E, allo stesso modo nessun racconto autobiografico, per quanto si dichiari e voglia apparirlo, è tale e sincero sino in fondo.
Chi scrive, infatti, sa di essere personaggio tra i suoi personaggi, e così Violette Leduc, che pure spesso richiama il lettore all’attenzione delle sue parole, lo sa benissimo, ma… Ma questo non le impedisce di essere nei confronti di se stessa più tagliente della lama di un rasoio, più pungente di uno spillo.
Se ci sarà del sangue a spargersi sulle strade di Parigi e della Normandia sarà il suo. Lei non si fa sconti, non nasconde i lati peggiori di sé, fino a qual punto possono arrivare il suo egoismo, la sua meschineria. Eppure, anche la sua è un’opera letteraria e quindi, come tale, sa di dover apparire in pubblico e non risparmi belletto e cipria.
È bene che lo dica subito: ho adorato questo libro e, tempo permettendo andrò a leggermi in francese il seguito (La Folie en tête pubblicato nel 1970, sempre sotto l’ala protettrice della de Beauvoir), augurandomi che anche in Italia un editore lo ripubblichi per i nostri lettori (l’unica edizione in italiano è de La Rosa del 1982).
Quanto precisato nelle righe precedenti si rendeva necessario per proteggere la possibile ingenuità di alcune e alcuni. Resta per me la realtà incontrovertibile di un’autrice tra le più grandi del Novecento, in grado di comporre una prosa che ha il suono dolce e melodioso di versi poetici. Così come l’esercizio dello stream of consciousness – il flusso di coscienza tanto caro a Proust, a Woolf e a Joyce – è per Violette Leduc un modo d’esprimersi immediato e naturale, per nulla ricercato o costruito.
Le chiacchiere intorno alla sua persona furono alimentate però non dall’ammirazione o dalla conoscenza, bensì dalla censura nella quale incappò – nella Francia di liberté, fraternità, égalité – più volte, compresa la prima parte di La Bastarda, che solo in seguito a tagli e cancellazioni poté essere pubblicato. Destino analogo a quello di un’altra sua opera, Thérèse e Isabelle, che edito una prima volta nel 1966, ma castigato dalla censura, divenuto film per la regia di Radley Metzger nel 1968, e stampato finalmente in forma integrale nell’anno 2000!
E su cosa si appuntò la censura? Su quelle parti dei libri in cui Leduc descriveva l’amore tra due donne, amori saffici o, se preferite, lesbici. Un’etichetta – quella di omosessuale – che si attaccò sulla scrittrice francese sino alla sua morte.
Leggendo oggi La Bastarda quello che viene in mente è che forse lei fosse soltanto una persona, come la maggior parte di noi, in cerca d’amore. Lo dimostrano – se per caso ce ne fosse bisogno – le tante pagine dedicate proprio in questo romanzo al suo rapporto con il marito Gabriel o la sua lunga “infatuazione” per il celebre Maurice Sachs, noto omosessuale che le fu accanto per diversi anni, intravvedendo in lei la scrittrice in embrione e spingendola a prendere la penna in mano. È questo che fa di La Bastarda una lettura per chiunque.
Il racconto inizia con la nascita di una bambina che nessun padre riconosce e prosegue negli anni della Prima e della Seconda guerra mondiale, raccontandoci la Storia vista da un’ottica differente, forse per certi aspetti un po’ superficiale (come per esempio riguardo il problema delle deportazioni degli ebrei che semplicemente “se ne andavano” o da un giorno all’altro non c’erano più), ma non si può fargliene una colpa, gran parte degli europei hanno capito troppo tardi il destino cui andavano incontro quelle persone sparite…
C’è il racconto commovente della costruzione di una donna che, dopo aver patito per decenni un’assoluta disistima di se stessa, quasi senza rendersene conto diventa “forte, capace, sicura di sé”, e tutto ciò accade, nelle pagine del libro, a uso e consumo di un ipotetico lettore o lettrice, spesso chiamati a testimone non solo dei fatti accaduti, ma anche delle mancanze e delle miserie dell’io narrante, la stessa Violette, affinché non subisca più esclusioni.