Siamo tornati a Napoli per la seconda parte del Campaniateatrofestival, dedicata agli artisti d’oltre confine. Un intenso percorso tra le pulsioni sessuali di Marina Otero, i miti greci di Dimitris Papaioannou, l’attore feticcio di Christoph Marthaler e il Dante coreografato da Virgilio Sieni.
foto: Salvatore Pastore
Dopo un fitto mese all’inizio dell’estate dedicato al teatro, alla danza e alla musica a opera degli artisti di casa nostra, al Campaniateatrofestival era come sempre attesa con molta aspettativa la sezione internazionale che si è svolta dall’8 al 29 settembre. A inaugurarla è stata la coreografa e ballerina argentina Marina Otero con il suo Fuck Me, titolo decisamente esplicito come in genere lo è il suo lavoro.
“Lo spettacolo è il terzo capitolo della trilogia Remember to live, un progetto permanente in cui sono io stessa l’oggetto di una ricerca che si sviluppa intorno al tema dello scorrere del tempo. Soprattutto perché mi piace che si parli di me. E se non ne parlo io chi lo farà? Chi darà forma alla mia causa narcisistica? Quale corpo si lascerà coinvolgere nel raccontare la mia vita, fino alla morte? Il mio soltanto. Cerco di andare contro il comfort, sia il mio che quello dello spettatore, per esporre le zone oscure e dire o fare qualcosa che metta a disagio.”
E proprio dal suo corpo, piegato da una grave forma di semi paralisi, in seguito quasi risolta grazie a una complessa operazione, Otero è partita per questa sua ultima creazione. Una delle conseguenze della forzata immobilità non poteva che essere l’astinenza sessuale e il conseguente desiderio inappagato.
Lo evoca in scena con la presenza di cinque aitanti ballerini nudi a eccezione dei neri anfibi che calzano mentre lei, spesso senza veli o quasi, li osserva da bordo scena, rendendo partecipe il pubblico anche del dolore sofferto in quel periodo come dell’angoscia per non poter ancora danzare. Non solo desiderio carnale (rivolto anche nei confronti dello spettatore, “provocato” anche dai suoi ragazzi che scendono tra il pubblico), ma soprattutto una sua riflessione sulla mutazione del corpo che è destinato a patire le ingiurie del tempo.
Molti lo considerano, a ragione, l’erede di Pina Bausch: Dimitris Papaioannou (Premio Europa 2017 a Roma) è stato il primo coreografo invitato nel 2018 a creare un nuovo lavoro (Since She) proprio per il Tanztheater di Wuppertal, l’iconica compagnia di Pina. Artista eclettico: oltre alla danza è stato regista di teatro fisico, scenografo, costumista e disegnatore di fumetti. Per 17 anni ha diretto la sua compagnia Edafos che ha lasciato un marchio indelebile nelle arti sceniche in Grecia.
La celebrità è arrivata nel 2004 quando ha ideato le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi Olimpici ad Atene. Da allora è riuscito a portare le sue creazioni a metà tra teatro e danza definite “d’avanguardia” come Primal Matter e Still Life (incentrato sul mito di Sisifo) nei maggiori teatri prima della Grecia e poi in Europa, Sud-America, Asia e Australia.
Dimitris passa con disinvoltura da spettacoli con centinaia di performer in azione nell’immenso teatro di Epidauro a opere intime underground magari ospitate in una casa occupata. È tornato al festival dopo la sua prima partecipazione con The Great Tamer, strepitoso studio anatomico e celebrazione della sensualità del corpo maschile in cui pezzi di arti umani s’intrecciano agilmente se collegati tra loro oppure si uniscono per formare creature con tre busti o tre teste.
Con Transverse Orientation pone al centro la metamorfosi e il mito del Minotauro in un viaggio tra antichità e modernità, permanenza e transitorietà, nelle quali si ripete una delle crudeli leggi della vita: il giovane uccide il vecchio per prenderne il posto e creare un mondo nuovo. Sono otto i danzatori che si muovono sulla musica di Vivaldi, un’abbondanza di immagini folgoranti la cui estetica è quasi una sfida per le nostre emozioni e mette in discussione il senso della vita.
L’appuntamento più atteso della tranche settembrina era sicuramente quello con Aucune Idée, ideato e diretto dal geniale regista svizzero Christoph Marthaler che ci ha regalato capolavori indimenticabili come Stunde Null, Die Spezialisten e Glaube Liebe Hoffnung, dove ha saputo mettere a nudo con il plusvalore della causticità e dell’understatement le ambiguità della Germania postbellica, le ipocrisie della piccola borghesia e dei suoi riti familiari nell’Europa odierna e, nella rivisitazione da Odon von Horvath, la disperazione in cui poveri e umili possono precipitare a causa dei poteri economici.
Per lunghi anni direttore dello Schauspielhaus di Zurigo, abbiamo avuto il piacere d’incontrarlo alla fine degli anni Novanta in occasione del suo ritorno a Taormina per il Premio Europa che aveva vinto qualche anno prima. Nel presentare appunto Die Spezialisten se ne notava e apprezzava la lucidità delle analisi spesso impietose, ma era soprattutto l’ironia e l’autoironia a farne un personaggio straordinario. E sono proprio queste due caratteristiche che ritroviamo nel suo ultimo lavoro, a cominciare dal titolo. Quale artista blasonato ammetterebbe di non avere “nessuna idea” per il suo spettacolo?
In realtà l’intenzione era quella di rendere omaggio al suo attore feticcio, sodale e complice sin dagli inizi degli anni Settanta, quando lo scozzese Graham F. Valentine, studente espatriato, si trovò per caso ad alloggiare nella pensione della famiglia Marthaler a Zurigo e da allora gli è stato a fianco in quasi tutte le sue creazioni. La forma scelta dal regista per questo tributo è quella del divertissment, del pastiche linguistico musicale (Valentine è anche provetto cantante e in scena ha a fianco Martin Zeller che suona anche Wagner e Bach alla viola da gamba), in cui fanno capolino battute surreali, dialoghi insensati o scioglilingua come il classico dadaista Ribble Bobble Pimlico di Kurt Schwitters che viene inflitto all’ignaro spettatore.
Dell’azione non c’è molto da raccontare. Ci troviamo su un pianerottolo dove si affacciano le porte di altrettanti appartamenti che non vedremo mai dall’interno. Sulle prime il protagonista è un ladro che vorrebbe svaligiarne uno ma, nonostante la condiscendenza della papabile vittima, poi desiste perché gli costerebbe troppa fatica. Subito dopo lotta con un mazzo di chiavi con cui vorrebbe aprire una casella postale che però continuano a cadergli di mano sino a quando, finalmente aperta, questa gli vomita letteralmente addosso (animata da una forza misteriosa) una quantità incredibile di volantini pubblicitari che sembrano non esaurirsi mai. La gag che vorrebbe forse essere più esilarante è quando stacca dalla parete un calorifero e lo fa cantare, ovviamente con la sua voce.
Alla fine un’agnizione: scopriamo che il vicino con cui lo abbiamo visto interagire è suo fratello e che forse il rapporto con il loro padre è stato alquanto problematico. Qualche sorriso Marthaler riesce a strapparcelo, ma prevale un senso di freddezza e soprattutto non si sviluppa alcuna empatia né emozione con ciò che vediamo in scena. Il talento e il magnetismo di Valentine sono indiscussi, ma certo le nostre aspettative erano superiori.
Per i lettori che hanno ripreso a viaggiare e sono suoi estimatori, Aucune idée sarà al Theatre de la Ville di Parigi dall’1 al 14 novembre, al Theatre Vidy di Losanna dal 5 al 14 dicembre e al Lac di Lugano il 25 e 26 gennaio. Da noi avremo però la possibilità di vedere molto prima un altro lavoro del regista, di certo con un respiro e impegno maggiori: Das Weinen (Die Wähnen) – Il pianto (Il pensiero) basato su testi di Dieter Roth, in prima nazionale all’Arena del Sole di Bologna il 30 e 31 ottobre. (www.emiliaromagnateatro.com)
“Dante l’ho sempre amato, ascoltato, mugolato… mio papà sapeva a memoria dei Canti interi che recitava lavorando in campagna. Forse è per questo che la terzina dantesca in me è sempre risuonata come qualcosa di interiore.” Così afferma Virgilio Sieni a proposito di Paradiso, la sua coreografia ispirata alla Commedia, una delle tante celebrazioni per i 700 anni dalla morte del poeta.
Da quando ha fondato nel 1992 a Firenze la sua compagnia di danza, Sieni si è dedicato a un linguaggio capillare sul corpo e la sua attività e ha seguito percorsi differenziati. Abbiamo in particolare seguito e apprezzato i suoi laboratori e performance site specific con comuni cittadini (uno di questi sarà con il progetto Territori del gesto alla Fondazione Merz nell’ambito del festival delle Colline Torinesi il 28 e 29 ottobre).
Il suo paradiso è collocato in un lussureggiante giardino (obbligato il riferimento a quello dell’Eden) colmo di rigogliose piante verdi portate in scena e di continuo accarezzate e spostate dai ballerini: non ci sono le terzine dantesche ma la forma dell’endecasillabo viene traslata nel movimento e sembra siano quegli arbusti e alberelli a determinare e condizionare gli sviluppi della coreografia che è costruita su una decina di gesti con la ripetizione fisica dell’ultima sillaba al fine di far risuonare negli scatti la rima dantesca.
Riconoscendo un impatto visivo di sicura suggestione e bellezza, manca forse a nostro parere quel tocco di serenità e beatitudine che, forse solo per un cliché, associamo al paradiso: ci sentivamo di più in un purgatorio carico d’inquietudine, seppure con il conforto di una natura benigna. Paradiso sarà a Firenze il 6 novembre, Reggio Emilia il 20 e alla Triennale di Milano l’1 e 2/12.
Interamente alla danza sarà dedicata l’ultima tranche del festival in programma dal 3 al 12 dicembre. Spazio ai giovani, ma già riconosciuti coreografi come Valeria e Antonio Apicella, Adriano Bolognini con Nyko Piscopo e Claudio Malangione con Nicoletta Cabassi. Tra gli altri segnaliamo la proposta del duo Igor e Moreno, coppia sulla scena e nella vita, originari della Sardegna, poi trasferitisi e operativi per molti anni a Londra e da poco tornati a Sassari. Dopo il loro adrenalinico Beat, visto alla Triennale in giugno e danzato da Margherita Elliot, li ritroviamo insieme in palcoscenico con Idiot-Syncrasy (8 e 9 dicembre) che vuol essere un richiamo al potere della danza come fattore di cambiamento e inclusione.