Mentre Orietta Berti nel tormentone estivo 2021 canta di labbra rosso Coca-Cola, bibita che in Italia ha sponsorizzato tre pride ma non si espone pubblicamente come fece in Svizzera nel 2020, l’approvazione del DDL Zan resta appesa a un filo che probabilmente si spezzerà in autunno. Chi s’interessa di noi? Forse nemmeno noi, se non per guardare con nostalgia al nostro passato che fu.
Superata la boa di Ferragosto due terzi dell’onda pride di quest’anno si è già andata a infrangere senza produrre in apparenza un impatto positivo sull’approvazione del DDL Zan, rimasto bloccato al Senato dalla pausa estiva. Ventiquattro eventi da giugno a settembre tra cortei o soli palchi, da Siracusa a Genova passando per Sassari, Ancona, Gorizia ecc., che si concluderanno a Torino dimostrando per l’ennesima volta che siamo una comunità debole, e i politici lo sanno molto bene.
Considerando il suo articolo dal titolo “Comunque vada il voto sul ddl Zan, il mondo Lgbt+ ha già vinto”, pubblicato domenica 15 su Gaynews, sito d’informazioni da lui fondato nel 1998, immagino che Franco Grillini non sarebbe d’accordo con quanto penso. “(…) Tra giugno e luglio ho avuto la possibilità di partecipare ai Pride di Milano e di Bologna e parlare a decine di migliaia di persone toccando con mano un grande cambiamento sociale e culturale, che c’è stato soprattutto tra giovani e giovanissime. Ecco perché, comunque vada, abbiamo già vinto!”. Grassetto presente nel testo originale.
Dopo averlo letto mi è venuto in mente che se ci fosse occasione di esprimergli il mio pensiero di persona gli risponderei con l’espressione idiomatica inglese bullshit, letteralmente cacca di toro e traducibile come “ca**ate” (inserire l’ultima lettera dell’alfabeto). Il suo commento punta il riflettore su di noi solo per incensarci e per me questo è un errore macroscopico. Colpe di questo stallo, per forza di cose, ne dobbiamo avere anche noi e non poche. Tuttavia chi sarebbe il “noi”?
Guardiamoci negli occhi e smettiamo di dirci che siamo una comunità. Siamo primariamente una popolazione “queer”, termine ombrello che qui uso per raccogliere ogni sessualità ed espressione di genere possibile ora mentre all’inizio eravamo tutti e tutte “gay” e organizzavamo dei “gay pride”. Una parte di questa popolazione costituisce la comunità LGBT che eroga servizi di vario genere soprattutto attraverso il lavoro volontario in associazioni presenti nel territorio.
Di questa comunità una minima parte costituisce il movimento politico LGBT italiano, nato nel 1971 come qualcosa di nuovo che non si capiva, ma di cui si sentiva l’esigenza. In quegli anni c’erano la rabbia e la censura e il bisogno di visibilità e di accettazione sociale. Adesso siamo invitati in ogni tipo di trasmissione televisiva a qualsiasi ora del giorno e ci sono rappresentanti LGBT che hanno rapporti diretti con politici, partiti e aziende. In 50 anni abbiamo fatto indubbiamente molta strada, ma in quali direzioni staremmo andando adesso?
Il 26 giugno scorso mi sono presentato al pride di Milano che si è svolto in modo stanziale all’Arco della Pace. Iniziato sotto il sole rovente delle quattro del pomeriggio, è durato per 5,46 ore (!). Ho assistito agli interventi del sindaco Beppe Sala e dell’onorevole Alessandro Zan, poi mi sono rifugiato nel parco Sempione a cercare ombra e refrigerio come tantissimi/e altri/e partecipanti, anche perché l’audio era inadeguato e non si riuscivano a seguire i discorsi. Gironzolando l’unico cartello polemicamente divertente che ho visto diceva “Meno Patti Lateranensi e più Patty Pravo”. Ho infine sentito Franco Grillini iniziare a cantare Bella ciao mentre Simone Alliva, autore del libro Fuori i nomi! Intervista con la storia italiana LGBT (che ho recensito qui), tentava di intervistarlo.
Nei giorni successivi tra le mura di casa ho visto su YouTube a intervalli la registrazione completa, chiedendomi perché per esempio a Bologna, Roma e Napoli si era sfilato per le strade e da noi no. Considerando l’assembramento che si è formato, alquanto prevedibile, i motivi sanitari “anti-Covid” reggono poco.
Chissà se per l’assenza di corteo c’entrava la Coca-Cola, unico sponsor Platinum, e come mai la tiro in ballo? Di solito si parla di rainbow washing, lavare i panni con l’arcobaleno, quando si vuol far credere di essere vicini alla causa LGBT per motivi commerciali (ne parlai nel mio editoriale Il Capitale e noi). Di recente però ho scoperto che bisogna dire rainbow pandering, sfruttamento dell’arcobaleno (pandering è traducibile con lenocinio).
È una mia fissa l’analisi e la denuncia di come i marchi grandi e piccoli ci “mungono” in occasione del mese dei pride senza darci quasi nulla in cambio di concreto, o prendendoci più di quanto non ci danno. Per esempio se siete un/a fashionista Vogue Italia ha raccontato la moda che celebrava il Pride Month 2021 con capsule collection e iniziative a sostegno della comunità LGBT.
Le manifestazioni del nostro orgoglio che partirono con un solo giorno all’anno che nessuno considerava, in seguito passarono a una settimana di eventi collaterali che precedevano la parata. Adesso siamo stati istituzionalizzati e confinati a “essere visibili e carini come i panda”, da attrarre con prodotti a edizione limitata di ogni genere e tipo per trenta giorni, niente prima e niente dopo, o quasi…
“Yuup! allunga il Pride Month a tutto l’anno. L’azienda continuerà a produrre lo shampoo universale per animali con i colori dell’arcobaleno. (…) Il ricavato andrà alle associazioni che si battono per i diritti LGBT. 600 confezioni acquistate tra Italia ed estero per un valore di 5000 euro, versati interamente all’Arcigay Vincenza (sic!). Anche il ricavato delle ulteriori vendite continuerà a essere devoluto all’associazione vicentina”.
Quest’anno l’esempio più eclatante di ammiccamento LGBT è Zalando, la principale piattaforma di moda online d’Europa, che non era uno sponsor ufficiale del Milano Pride. Su viale Gioia, arteria stradale attraversata quotidianamente da un flusso di traffico molto sostenuto, era esposta una gigantesca affissione dal vago sapore politico, poiché segnalava alcune date “fondamentali” nella storia del nostro impegno LGBT cittadino.
<1959 Apre il primo locale gay di Milano; 1989 Il movimento manifesta in Piazza della Scala; 2001 Il primo Pride a Milano raccoglie 50mila partecipanti; 2016 Si celebrano le prime unioni civili tra persone dello stesso sesso a Milano; 2019 Il Pride celebra i 50 anni dei Moti di Stonewall con un record di 300mila partecipanti; 2021 il Pride torna a colorare Milano>. Chissà chi avrà scelto questi eventi e non altri? Di sicuro sono date facili da far capire al volo all’automobilista chiuso nel traffico.
Defezione, invece, quella di Netflix, il colosso americano delle serie TV in streaming, che nel 2018 regalò un allestimento temporaneo nella stazione della metropolitana di Porta Venezia, con le sei bande della bandiera arcobaleno che ricoprivano la grande parete che corre lungo la banchina, inclusi pilastri, rampe di scale, obliteratrici. L’installazione ad agosto diventò permanente per scelta dell’amministrazione comunale. Nel 2021 Netflix non è più uno degli sponsor della manifestazione, ma un cartellone a tema LGBT copre comunque la facciata di un palazzo di corso Buenos Aires, una delle passeggiate commerciali più lunghe d’Europa.
I loro soldi non arrivano (più) alla comunità milanese, quindi grazie Coca-Cola e altri sponsor Gold, Silver, Ambassador, Supporter, Hospitality Partner, Tecnici? Sì e no: penso che bisogna avere il coraggio di porre delle condizioni politiche, e se non sono soddisfatte rinunciare ai soldi e anche denunciare la cosa.
Veniamo alla Coca-Cola, a Fedez e al DDL Zan. Il 9 febbraio 2020 la popolazione della Svizzera fu chiamata a votare la modifica del Codice penale e del Codice penale militare che introduce una legge per vietare la discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Contro questa modifica era stato lanciato un referendum e Coca-Cola Svizzera si schiera in prima fila con una campagna di annunci in tutte e quattro le aree linguistiche del paese (tedesco, francese, italiano e romancio). Una sapiente entrata in scena a favore di una Svizzera contraddistinta da diversità, modernità e assenza di discriminazioni, che ufficialmente non è una posizione politica o un’indicazione di voto indirizzata all’opinione pubblica o ai suoi 800 dipendenti.
Immaginate adesso la reazione che avrebbe scatenato una presa di posizione simile di Coca-Cola Italia, presente nel 2021 nelle piazze di Milano, Napoli e Padova. Come scritto nel comunicato stampa “Partecipare ai Pride è per noi un onore e ci permette di continuare a promuovere una cultura inclusiva a 360 gradi” racconta Cristina Camilli, Direttore Comunicazione e Relazioni Istituzionali di Coca‑Cola Italia. “Mai come quest’anno è necessario concentrarsi su quello che abbiamo di più bello, festeggiando insieme l’amore che ci unisce e condividendolo con quante più persone possibili, liberi da ogni pregiudizio”. Corsivo e grassetto presenti nel testo originale.
Considerando la bufera provocata da Fedez, alleato LGBT, con il discorso a favore del Ddl Zan in occasione del concerto del 1° maggio, se anche Coca-Cola Italia avesse acquistato intere pagine di quotidiani nazionali e locali per dire qualcosa in merito, il minimo che ci si poteva aspettare era un terremoto, tutti sarebbero venuti a sapere del supporto che quindi sarebbe stato davvero credibile. Ci siamo dovuti accontentare dell’irresistibile ritornello cantato da Orietta Berti, icona gay del popolo, e di problemi ce ne restano mille. Il video molto “camp per eterosessuali” è visibile qui.
Quali sono allora le tendenze e le esperienze che stiamo condividendo? Chi siamo adesso, chi ci rappresenta e cosa sta facendo? Non so darmi una risposta, ma so che è ancora in atto una lotta per la legittimità delle nostre vite. Noi dobbiamo continuamente essere vigili e capire se siamo al sicuro fisicamente, psicologicamente, socialmente. Gli (uomini) eterosessuali non hanno bisogno di questa allerta continua.
Nella dimensione pubblica non disturbiamo più. Disturbano gli alleati come i calciatori che durante i campionati europei di calcio hanno espresso solidarietà dopo che la UEFA vietò di illuminare lo stadio di Monaco di Baviera con i colori dell’arcobaleno nella partita Germania-Ungheria. Anche i corridori di Formula 1 al Gran Premio d’Ungheria hanno fatto la loro parte contro i propositi anti-LGBT del primo ministro Viktor Orbán.
Dopo più di venti anni di militanza ho capito che le esperienze e le pratiche L-G-B-T sono differenti tra loro, e il separatismo ha un suo perché. Ora però mi chiedo se in questi cinquant’anni in Italia c’è stato un passaggio limitato per l’esperienza “gay”, che si può facilmente confondere con la realtà “pre-gay”, raccontata sapientemente nell’imperdibile prima stagione del podcast Le radici dell’orgoglio, e senza accorgercene siamo già in fase “post-gay” che teorizza la fine delle nostre identità. Le cose si stanno involvendo? I nostri spazi si stanno riducendo?
È più importante dibattere dell’introduzione della schwa, la e rovesciata che punta graficamente all’inclusione nel linguaggio (se avete problemi a capire il genere “non binario” il sito non-binary.it vi può essere di supporto), o essere massificati e non essere più capaci di creare controcultura?
LEGO una sua risposta in merito l’ha data mettendo in vendita il set a tema LGBTQ+ “Everyone is Awesome”, ognun* è meraviglioso, composto da 346 mattoncini e ispirato alla variazione “progress pride” della bandiera arcobaleno creata da Gilbert Baker nel 1978. Costo 34,99 euro al netto delle spese di spedizione…