Un portale inglese di video su richiesta pensato da e per un pubblico di donne lesbiche, bisessuali, queer offre un cambio di rotta radicale sulla questione della rappresentazione della comunità LGBT, che è sempre aperta e resta in sostanziale disequilibrio con la lettera G a “farla da padrone”.
L’1 marzo 2019 è stato inaugurato Lesflicks.com, nome creato dall’unione di lesbian e flick (in inglese un modo gergale per dire “film”). Il sito si pone l’obiettivo di aiutare le fan e le creatrici di contenuti video a tema lesbico, bisessuale, queer da tutto il mondo a incontrarsi come comunità e a darsi supporto a vicenda, per avere un accesso facile a opere che contengono personaggi femminili arcobaleno ritratti in maniera positiva e aumentare la loro conoscenza e diffusione.
Nei suoi primi trenta giorni Lesflick pubblicò più di cento articoli e una banca dati di titoli, in continuo aggiornamento, che spazia per i generi più disparati: dalla commedia al thriller, dal dramma al musical, dal fantasy al romantico… Dopo soli sei mesi fu varata la prima piattaforma in Europa di video LBQ a richiesta disponibile in tutto il pianeta, che tra ottobre e novembre 2020 offriva già 17 lungometraggi, 58 cortometraggi, 8 serie web, e iniziava a creare i sottotitoli in italiano, francese, spagnolo, portoghese e rumeno.
Un vero successo considerando che l’industria cinematografica afferma che non esiste un pubblico per trame LBQ tranne rare eccezioni e con la presenza di attrici famose (vedi Carol con Cate Blanchett). Queste produzioni di genere perciò lottano per ottenere dei finanziamenti e la distribuzione, o anche se hanno la distribuzione non raggiungono il loro pubblico.
Donne che vogliono far sentire la loro voce, essere ascoltate e viste, sentire e condividere le proprie vite LBQ però esistono ovunque e da sempre. Questa disconnessione tra domanda e offerta, il bisogno di avere suggerimenti su cosa guardare e dove trovare queste pellicole era quindi presente nell’aria come intuì Naomi Bennett, fondatrice di Lesflicks, che decise di fare qualcosa di costruttivo in merito.
Naomi gestiva il sito Planet Nation – LBQ community and lifestyle website, attività che le consentiva di partecipare a festival di cinema LGBT dove parlava con registe indipendenti. Sempre più sorpresa e frustrata per quante pellicole LBQ realizzate non raggiungevano il proprio pubblico (che al contempo implorava più film da guardare), si rese conto che errori riguardo a decisioni di marketing e di distribuzione si potevano evitare con una migliore condivisione di conoscenze ed esperienze accumulate all’interno della comunità creativa.
Erano i primi passi verso la costruzione di un “Netflix lesbico” (definizione che trovate nel sito) che dà visibilità a tutte, contro l’idea sbagliata di essere solo una nicchia. La priorità è per voci LBQ sottorappresentate quali donne di appartenenze etniche, donne poliamorose, donne con disabilità, donne con problemi mentali ecc. Un’offerta a prezzi abbordabili e con i proventi che si raccolgono si pagano equamente i diritti d’autrice. Se siete una regista c’è un modulo per sottoporre le proprie proposte.
È fantastico quando il pubblico previsto vede un film concepito per sé. I film che danno una rappresentazione speciale sullo schermo fanno sentire meno sole/i o diverse/i nel mondo.
C’è una ragione tuttavia per cui spesso è così difficile trovare quello che si vuole vedere: il cinema è un enorme affare e le pellicole di Hollywood, come quelle a marchio Marvel e Disney, costano milioni per essere realizzate. Sono spesso finanziate da grandi imprese, investimenti privati e individui benestanti perché ne fanno guadagnare ben di più.
I film indipendenti come quasi tutti quelli LGBT, invece, sono molto più difficili da finanziare e molto più difficili da realizzare. La maggior parte di chi gira film lesbici e bisessuali vede in guadagni a malapena un centesimo della spesa nonostante gli enormi budget per farli. Se le donne questi film li vedono perché non si ottiene alcun ritorno?
Ci sono due intermediari tra chi crea un film (regista/produzione) e il pubblico previsto: un agente di vendita e un distributore, che prendono commissioni e recuperano le loro spese prima di emettere royalties. Per le opere LBQ ci sono poche o nessuna royalty.
Gli alti livelli di pirateria dei film lesbici sui siti di streaming gratuito e YouTube rafforzano poi l’idea che non c’è pubblico a pagamento per i film LBQ e che non ha senso finanziarli. I servizi generalisti di streaming online, inoltre, tradizionalmente mostrano i contenuti, anche quelli LGBT, dei grandi studi di produzione (per esempio A Secret Love, documentario che racconta 65 anni d’amore tra due donne prodotto da Ryan Murphy) e non quello che il pubblico vuole. Tralasciando di programmare storie indipendenti, che spesso sono più autentiche e che si avrebbe più voglia di vedere, si promuove l’invisibilità perché quello di cui non si parla non esiste.
Nei media generalisti la rappresentazione è uno strumento importante per plasmare la comprensione culturale d’interi gruppi di persone. Dagli articoli di giornali e riviste alle serie televisive passando per i film e le pubblicità ma anche i video musicali ecc., nel corso degli ultimi decenni coloro che s’identificano come lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, o in tempi più recenti come un’altra identità non conforme al genere, hanno visto un netto miglioramento nella quantità e nella qualità delle loro descrizioni.
La strada da percorrere per ottenere solo immagini che non siano stereotipate o proiezioni fantasiose per persone eterosessuali è però ancora lunga, e forse l’ostacolo principale che rallenta questa evoluzione positiva è che in una società capitalistica le decisioni sono prese anche considerando cosa si pensa che produrrà maggiore denaro come ritorno di un investimento.
Con l’idea persistente che nella comunità LGBT chi possiede più potere economico sono solo i maschi biologici gay bianchi senza figli a carico, si provoca che essi “meritano” la quasi totalità della considerazione da parte del mercato a sostanziale discapito di qualsiasi altra sottocategoria esistente.
Molte cose per fortuna stanno cambiando e per esempio serie TV come Pose o in passato The L Word sono state epocali giri di boa. Anche il campo della pubblicità si apre sempre più all’inclusione e nel 2019, cinquantesimo anniversario delle rivolte di Stonewall, lo spot di Starbucks Gran Bretagna con un adolescente FtM, intitolato Every name’s a story (ogni nome è una storia), vince il premio “Diversity in Advertising Award” di Channel 4.
La nostra presenza LGBT perciò conta e dobbiamo difenderla e promuoverla costi quel che costi, in questo caso aiutando a #AmplifyLesbianFilm parlando di Lesflicks sui nostri canali sociali reali e virtuali.
Iscrivendosi alla piattaforma di video on demand si scopriranno narrazioni di cui non avevate nemmeno idea dell’esistenza (secondo Naomi molte donne lesbiche non sanno nominare più di 15 titoli mentre lei ne ha trovati oltre 300). Si può anche fare una donazione per sostenere le attività di gestione dei siti, che tuttora è su base volontaristica, e il finanziamento di nuovi progetti ed eventi.
Qualunque sia la scelta, promuovere incondizionatamente la cultura WLW (woman loving woman) delle donne che amano le donne sullo schermo e non solo equivale a diventare parte di un cambiamento reale, perché creare contenuti LGBT è importante non solo per le donne.