Il 50% delle persone migranti si infetta nel paese europeo che li ospita, e la permanenza in Libia aumenta di quattro volte il rischio di contagio. Questi dati sono emersi al 31° Convegno Nazionale Anlaids Onlus tenutosi a Genova lo scorso novembre.
(per concessione EssePiù – Bimestrale dell’ASA Associazione Solidarietà AIDS – gennaio/febbraio 2019)
La consueta percezione dei migranti spesso genera pregiudizi nei loro confronti anche per quanto riguarda il contagio da malattie infettive. In realtà, però, anche il riscontro di un’alta percentuale di persone provenienti da paesi ad alta endemia non deve trarre in inganno.
“I migranti sono soggetti vulnerabili e più di altri hanno bisogno di attenzione” ha spiegato Tullio Prestileo dell’Ospedale Civico-Benfratelli di Palermo. “La vulnerabilità ha diverse cause: anzitutto, nasce dalle condizioni di base in Africa e viene fortemente implementata dal percorso migratorio; successivamente, il migrante patisce la permanenza in Libia; infine, arrivati in Italia, dove spesso vengono meno quelle che l’OMS definisce ‘determinanti di salute’ e di conseguenza la probabilità di ammalarsi aumenta in maniera proporzionale a questa perdita. In breve, le precarie condizioni di vita provocano un maggior rischio di ammalarsi”.
Le condizioni del migrante con HIV in Europa sono state pubblicate nello studio aMASE (advancing Migrant Access to health Services in Europe), condotto all’interno dell’EuroCoord. Si è trattato di due studi paralleli: uno studio clinico, migranti-Libia condotto in 57 strutture per il trattamento dell’HIV di 9 paesi europei, e uno studio di community che ha visto il coinvolgimento di associazioni di lotta all’AIDS e di supporto ai migranti.
Nell’ambito dello studio clinico, sono stati raccolti dati tra luglio 2013 e luglio 2015 su oltre 2200 migranti adulti con diagnosi di infezione da HIV da almeno cinque anni e residenti nel paese di accoglienza da almeno sei mesi, seguiti presso centri clinici di Belgio, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia. I risultati mostrano che una grande quota di migranti che vivono con HIV in Europa ha acquisito l’infezione dopo la migrazione.
Circa la metà dei migranti parte dal proprio paese senza HIV e ben il 50% si infetta nel paese europeo che li ospita: per la precisione, il tasso di infezione va dal 32% al 64% nel paese che li ospita. Ciò è dovuto alle difficili condizioni cui i migranti sono sottoposti durante il viaggio, la permanenza in Libia e una volta arrivati in Europa. Si aggiunge poi per le donne il problema della prostituzione cui spesso sono costrette.
“Questi dati sono molto forti – sottolinea il professor Prestileo – specialmente se collegati a un altro dato di prossima pubblicazione che mostra come la permanenza in Libia aumenti di almeno quattro volte il rischio di infezione da HIV in questa popolazione, soprattutto in quella femminile. Violenze, torture e ripetuti abusi sessuali sono un grande problema per quanto riguarda il contagio”.
La prostituzione è uno dei fattori di maggior rischio per la diffusione dell’HIV. Il fenomeno sta aumentando anche attraverso differenti forme di prestazione, il web ed i social network. I venditori di sesso di strada sono prevalentemente non italiani, spesso forzati e non provvisti di regolare permesso di soggiorno e di tessera sanitaria; sex-worker talvolta minorenni, alcuni con vissuti di dipendenza patologica e spesso portatori di gravidanze indesiderate. Il fenomeno è a macchia di leopardo tra città metropolitane o capoluoghi di regione e piccoli centri di provincia. Si stima che in Italia siano circa 70.000, prevalentemente donne. Si registra un numero di prestazioni che si aggira sui 9-10 milioni.
In generale di HIV e AIDS in Italia si parla solo il 1° dicembre. Per tutto il resto dell’anno silenzio. Invece se ne dovrebbe parlare a casa, nelle scuole, tra amici perché il contagio è sempre in agguato. Sono dunque necessarie iniziative sociali, sportive, culturali e campagne di informazione e coinvolgimento che tengano in alta considerazione i social network per raggiungere le fasce giovanili. E sarebbe opportuno realizzare campagne mirate per sensibilizzare anche i cittadini non italiani nelle istituzioni educative (scuole serali, università) creando una rete tra istituzioni italiane, sedi diplomatiche e cittadinanza attiva. È indispensabile sottolineare sempre che il test è totalmente gratuito e anonimo.