Il penultimo film di Xavier Dolan è uscito nelle sale cinematografiche italiane con un anno di ritardo e non sembra il solito film di Xavier Dolan. Sarà per questo che è stato massacrato dalla stampa straniera prima e nazionale adesso? Noi l’abbiamo visto in anteprima e vi spieghiamo perché, per noi, è un bellissimo film di Xavier Dolan.

 

Per il suo primo film in lingua inglese e debutto hollywoodiano, il regista canadese del Québec gay dichiarato Xavier Dolan non ha lesinato nello scegliere un cast d’eccezione. Ad affiancare la star de Il trono di spade (e super bono) “John Snow” Kit Harington ci sono, infatti, tre attrici premio Oscar: Natalie Portman, Kathy Bates e Susan Sarandon. Solo per questo e per le loro interpretazioni vi assicuriamo che i soldi spesi per il biglietto sono già ripagati.

La mia vita con John F. Donovan (in inglese il titolo The Death and Life of John F. Donovan risulta più esplicito) parla di Rupert Turner, un giovane attore in ascesa che decide di raccontare in un libro la storia di John F. Donovan, star della televisione americana scomparsa dieci anni prima. Quando Rupert era undicenne e viveva in Gran Bretagna per diversi anni aveva mantenuto con John una corrispondenza epistolare vecchio stile, a base di lettere scritte a mano e imbucate per posta, che teneva segreta anche a sua madre.

Il giovane Rupert idolatra l’attore John ma il loro rapporto con il tempo cambia. Da semplice fan che ha avuto la fortuna di ricevere una risposta amichevole, gentile e innocente dal proprio eroe, egli ne diventa il confidente e, infine e involontariamente, la causa del suo declino professionale per uno scandalo inesistente costruito sull’ipocrisia della società benpensante.

Con una sceneggiatura molto originale e non riconducibile a nessun genere in particolare, Xavier Dolan riporta sul grande schermo i temi che l’hanno reso famoso nel mondo: la relazione conflittuale e disfunzionale tra madre e figlio, l’omosessualità, l’infanzia e il passaggio doloroso all’età adulta e le contraddizioni che ne derivano.

Su questi argomenti s’impiantano anche i temi dello show business e del tabù del dichiararsi gay nell’ambiente del cinema e, come lui ha vissuto in prima persona, cosa comporta diventare delle celebrità e quanto inesorabilmente cambia la vita privata di queste persone. Messe in una gabbia dalla quale diventa complesso fuggire, alle star s’impone un frenetico livello di attenzione costante della propria immagine.

Se un tempo in Italia per avere notizie vere o presunte sulle vite e gli amori dei personaggi famosi ci si basava sui pettegolezzi forniti o sfornati da riviste come Novella Duemila o Eva Express, oramai l’uso e forse abuso quotidiano di Instagram e Twitter ha ridotto ai minimi termini la distanza che separa noi dal vero mito.

Immaginate se Greta Garbo, simbolo di una femminilità raffinata e irraggiungibile, circondata da un perenne alone di mistero, avesse vissuto ai nostri giorni e pubblicato sulla sua pagina Facebook che a 36 anni si ritirava dalle scene per rintanarsi nel suo lussuoso appartamento di New York circondata dai suoi amati quadri di Renoir… Dopo mezza giornata non sarebbe più stata Divina per sempre ma una meteora come tante nel firmamento del mondo dello spettacolo.

Un altro tema che il regista non ha paura di mettere davanti agli occhi degli spettatori è quello del bullismo omofobico in ambito scolastico. Quando Rupert racconta davanti alla classe che da anni scrive al suo idolo non gli crede nessuno, ma quando si scopre che è vero e che John F. Donovan è gay (e quindi deve esserlo anche lui) s’innesca un meccanismo perverso che porterà alla scomparsa prematura del protagonista principale.

John combatte e perde una battaglia con se stesso a causa della non accettazione del proprio orientamento sessuale che si sente pure costretto a reprimere per salvaguardare la carriera. Questo però spingerà Rupert da adulto a essere più coraggioso e a compiere passi che gli permetteranno di accettare la sua vera identità come si vede nel finale della pellicola. Gli “errori” (veniali) compiuti da una generazione possono permettere a quelle successive di evolvere nel percorso collettivo delle nostre libertà di essere e di esprimerci per ciò che siamo.

La bellissima e struggente canzone My Mother Had A Brother (mia madre aveva un fratello) di George Michael, presente nel suo album Older, ci può spiegare questo meccanismo. Il cammino verso il coming out pubblico del cantante, infatti, anch’esso avvenuto a causa di uno scandalo iper-mediatizzato, è stato sotterraneamente sorretto dalla figura tragica di suo zio materno Colin, gay nell’Inghilterra dei primi anni ’60 (quando tra l’altro l’omosessualità era ancora reato), morto suicida quando George era appena nato ma del quale nessuno in famiglia gli aveva parlato per anni e anni. Una figura cui ispirarsi e da (ri)vendicare.

Verosimilmente la critica cinematografica generalista non è in grado di cogliere questi “dettagli”, ma sono anche questi oltre alle scenografie curatissime, alla scelta maniacale degli abiti e a una colonna sonora cucita come un abito d’alta moda sui vari passaggi emotivi che fanno di questo film di Xavier Dolan un, per noi bellissimo, film di Xavier Dolan.